Imolese in fuga con i figli da Kiev riesce a salvare anche i suoi animali

Imola

«Quando cominciano a cadere le bombe sulle case intorno alla tua non hai molto tempo per pensare. Ho preso i miei figli di 16 e 20 anni, i passaporti e i cellulari e abbiamo cominciato ad allontanarci da lì. Kiev era però già completamente allo sbando e lì per lì abbiamo pensato che non sarebbe stato facile portare con noi il nostro cane sull’autobus che avevamo trovato per andare via, è un molosso. Quindi l’ho lasciato alla padrona di casa, insieme alla nostra gatta, e le ho detto che sarei tornata a prenderli prima possibile. Pensavo che il primo bombardamento fosse un avvertimento, non una barbarie simile». Monica Dardi ha 51 anni ed è imolese, fuggita dalla guerra Ucraina come tante altre donne di quel Paese con i propri figli. Ora, grazie a un’incredibile staffetta internazionale innescata dalla Lndc Animal Protection è riuscita a riabbracciare anche Leon, il suo cane Almstaff, e la gatta Selvy.


Un’imolese a Kiev

Monica viveva a Kiev da un paio d’anni con i figli adolescenti. «Avevo scelto un cambio di vita totale. A Imola facevo la ragioniera, ma a Kiev sono andata per insegnare italiano ai bambini in una scuola materna, prima come volontaria, poi mi sono specializzata ed è diventato il mio lavoro – racconta Dardi –. Una possibilità nata per caso, grazie a una mia amica ucraina che mi contattò dicendo che un’altra sua amica stava cercando una nuova insegnante di italiano per i bambini, perché quelle che avevano trovato non erano abbastanza pazienti. Mi chiese se conoscevo qualcuno, ci pensai un po’ su poi le dissi che sarei andata io. In Ucraina hanno molta considerazione dell’Italia, ne hanno un po’ il mito come noi lo abbiamo dell’America. Nella scuola dove insegnavo, ad esempio, molti genitori da bambini erano venuti in Italia ai tempi di Chernobyl e del nostro paese avevano mantenuto un bel ricordo. Io non conoscevo l’Ucraina, e parlo ucraino non ancora molto bene, parlo invece bene l’inglese e quello mi era bastato ad ambientarmi. A Kiev stavamo bene, in Ucraina credo che nessuno si aspettasse una guerra così. La vita andava avanti normalmente e io non credevo a mia madre quando al telefono dall’Italia mi diceva che Putin avrebbe attaccato e che lo scrivevano i giornali». Poi la guerra è arrivata eccome. «Il primo giorno di bombardamenti e abbiamo iniziato il nostro viaggio per ritornare in Italia – racconta Monica –. Ci abbiamo messo quasi una settimana. Siamo partiti in autobus verso Leopoli, abbiamo aspettato un po’, sempre pensando di poter tornare indietro. Poi sono arrivati i bombardamenti e abbiamo capito che non c’era più un posto in Ucraina dove avremmo potuto considerarci salvi. Perciò abbiamo continuato a piedi fino a che siamo riusciti a prendere una specie di taxi, e poi ancora a piedi fino al confine. C’era gente che scappava da tutte le parti e un grande ingorgo, potevamo proseguire solo così». Quando è arrivata in Polonia ha cercato prima di tutto un’associazione animalista che la aiutasse a mettere in salvo anche i suoi animali rimasti a Kiev.


Il salvataggio di Leon e Selvy


«Avevo affidato il mio cane e la mia gatta alla mia padrona di casa lasciandole cibo e soldi. Le avevo detto: salvo i miei figli e torno, ma mentre ero ancora in viaggio lei mi ha chiamata per dirmi che i bombardamenti continuavano e aveva paura e che sarebbe andata via presto anche lei e mi chiedeva cosa fare con gli animali. Mi è salito il panico, le ho chiesto di darmi tempo fino alla mattina per fare qualcosa, non potevo certo trattenerla a lungo. Le ho chiesto solo di non metterli in strada temevo che al cane, così grosso, avrebbero sparato subito, mentre il gatto non sa vivere in strada». Tramite Facebook, Monica ha cercato la Lndc Animal Protection che conosceva e ha innescato una catena arrivata fino a una volontaria ucraina che è riescita ad andare a prendere i cani dall’appartamento, i loro documenti e ad affidarli a una veterinaria che li ha tenuti per alcuni giorni. «Lndc Animal Protection si è attivata immediatamente e sono riusciti a far evacuare i due animali fino in Romania e grazie al lavoro della Lega del cane e dei Cinofili dell’Emilia-Romagna che hanno finanziato il trasporto ho potuto riabbracciarli. Sembrava una missione impossibile, ma è diventata una storia a lieto fine grazie all’aiuto grandissimo e ineguagliabile dei volontari», dice oggi Monica Dardi. Giovedì sera Leon e Selvy sono arrivati in Pedagna e Monica e i suoi figli hanno potuto riabbracciarli. «È stato un momento molto forte», dice la stessa Monica con un filo di voce. «Quando ci si trova in una situazione di guerra come quella che è in corso in Ucraina, si vive alla giornata e non è possibile programmare con esattezza le cose. Ogni programma fatto oggi può cambiare radicalmente domani, in base alle condizioni del momento – osserva Piera Rosati, presidente Lndc Animal Protection –. Dopo diversi giorni di incertezze e rimandi, siamo stati informati all’improvviso che Leon e Selvy erano in viaggio verso la Romania. A quel punto ci siamo immediatamente mobilitati per trovare un mezzo che potesse prelevarli da lì per portarli in Italia dalla loro famiglia. E, grazie alla collaborazione con l’Associazione Nucleo Cinofilo Emilia Romagna siamo riusciti a riportarli a casa».


Il pensiero all’Ucraina

Ora Monica e i suoi figli sono ospiti, come accade a molti profughi, a casa dei genitori di lei, a Imola. «Sono molto in conflitto, se fossi stata da sola forse mi sarei sentita in dovere di rimanere – confessa Monica –. Non è la mia nazione, però vedendo il bisogno e la sofferenza di tante persone mi sentivo in colpa, io avevo un posto dove andare… Non sono stata bene, ma non potevo lasciare in pericolo i miei figli. La guerra ti fa fare in fretta i conti con quello che è davvero importante. Abbiamo lasciato tutto nella casa dove abitavamo, ma abbiamo lasciato solo cose, noi la vita l’abbiamo portata a casa ed è quello che conta. Finché sei in salute e puoi fuggire sei fortunato, ma là restano tante persone che non possono andarsene, anziani, malati, bambini in ospedale, donne che devono partorire perché la vita va avanti comunque, ed è una cosa atroce e inumana pensare a cosa stanno vivendo».

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