Piccole e medie imprese imolesi: «Molte non riapriranno dopo l'emergenza»

IMOLA. L’emergenza sanitaria continua e decreto dopo decreto il mondo del lavoro continua a perdere dei pezzi. E se per le grandi imprese «ripartire sarà comunque complicato, ma possibile», come spiega la direttrice della Cna Imola Ornella Bova, per le piccole e medie il futuro sembra davvero una parola priva di senso. «Temo che molte non riapriranno – continua la Bova –, ci voleva una manovra più coraggiosa da parte dello Stato. E poi a furia di decreti governativi e regionali si è creata tanta confusione: ancora questa mattina (ieri, ndr) ho ricevuto segnalazioni da associati fermati dalle forze dell’ordine durante le loro regolari consegne a domicilio e ripresi perché non avrebbero potuto essere in strada. La lista con i codici Ateco parla chiaro e purtroppo questi episodi aumentano solo la preoccupazione e il senso di incertezza delle aziende».
Chiarimenti e informazioni
La Cna sta lavorando febbrilmente dall’inizio dell’emergenza sanitaria e la diretta Facebook del presidente del Consiglio Giuseppe Conte di sabato scorso nella tarda serata ha generato davvero il panico: «Ormai sui circa nostri 1200 associati potranno continuare a lavorare il 10-15% massimo. Sono preoccupata per chi, come le parrucchiere, ha dovuto chiudere ormai da 4 settimane. Noi cerchiamo di informare tutti e abbiamo inoltrato al Prefetto di Bologna la comunicazione sulle aziende con il codice Ateco in regola: credo che il Prefetto sarà inondato di questi documenti e ho spiegato alle aziende che non si aspettino una risposta, semplicemente continueranno a lavorare aspettandosi controlli a campione. Ripeto, quando tutto ripartirà molti associati mancheranno all’appello, quindi spero che il Governo gestisca la situazione al meglio. Voglio sottolineare il bel gesto di alcune grandi aziende che, riferendosi alle piccole-medie della propria filiera, si sono fatte carico di sensibilizzare il Prefetto per la loro posizione».
Fra i lasciti positivi di questo difficile periodo ci sono senza dubbio lo smart working e le consegne a domicilio: «Sì, nel dopo emergenza si cambierà tanto. La tecnologia, con il lavoro agile e quello da remoto sono spesso stati dimenticati e poco utilizzati, ora li abbiamo scoperti e credo che non li abbandoneremo più. Nel presente, comunque, bisogna stringere i denti e pensare in primis alla salute pubblica».
I numeri di Confartigianato
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la Confartigianato, attraverso il proprio segretario metropolitano Amilcare Renzi: «Abbiamo 1500 associati e dopo l’ultimo decreto Conte ne potrà restare in attività un 10-15% massimo. L’obiettivo primario restano il presidio sanitario e la salute pubblica, però fermare del tutto il motore di un paese sarebbe una decisione troppo drastica. Potranno continuare a lavorare tutte le aziende legate alla filiera dell’agroalimentare e del medicale, naturalmente in regola con il codice Ateco, la cui posizione abbiamo provveduto a comunicare al Prefetto di Bologna. Una parte del mondo della ristorazione, tanto per intenderci, è fermo da tempo, mentre resteranno attivi idraulici, meccanici e altri. Quando l’emergenza sarà conclusa scatterà una rincorsa molto impegnativa, alla quale dovremo farci trovare tutti pronti». Lo smart working sta permettendo a molte piccole e medie aziende di Confartigianato di adempiere a fondamentali obblighi finanziari e per il futuro è destinato a rappresentare qualcosa di più di una novità emergenziale: “Le aziende – spiega Renzi – lo stanno utilizzando per chiudere le ultime operazioni commerciali e pagare le fatture, a dimostrazione fra l’altro della loro estrema correttezza. E in generale il lavoro da remoto sta ottenendo riscontri molto positivi dagli associati. Le nostre sedi, ad esempio, sono quasi tutte operative e i servizi attivi proprio grazie allo smart working. Confartigianato rappresenta un mondo articolato, nei confronti del quale vogliamo continuare a svolgere la nostra funzione di informazione e sostegno in prima persona».