A palazzo vescovile a Imola si aprono le porte del Museo delle carrozze

Imola

IMOLA. Il Palazzo vescovile di Imola arricchisce ulteriormente il proprio percorso espositivo, con il restauro del Museo delle carrozze. Sarà il presidente dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna Roberto Balzani a tagliare il nastro, sabato prossimo, alle 17.30.

Il locale e l’esposizione

«Il Museo delle carrozze si trova nel lato sud del cortile delle scuderie, in uno dei locali adibiti a rimessa, dal 1962», spiega Marco Violi, vicedirettore del Museo diocesano, che ha curato l’apertura dei nuovi locali. «Vi sono custodite due berline di gala settecentesche di proprietà dei vescovi imolesi, utilizzate - almeno dal 1765 - anche per il trasporto dell’immagine della Madonna del Piratello in caso di maltempo».

L’ambiente «voltato a crociera e sostenuto da quattro massicci pilastri su cui originariamente venivano appesi i finimenti per i cavalli, è stato ristrutturato, fornito di un impianto di illuminazione a led e dotato di una vetrina in cui sono ospitate nove livree sette-ottocentesche indossate dai valletti e dai cocchieri in servizio nel Palazzo vescovile, in eccezionali condizioni conservative», aggiunge Violi. «Vi sono esposti anche alcuni copricapi coordinati alle livree e il modello in legno dell’imponente Cadillac per il trasporto dell’immagine della Madonna del Piratello, adattata su progetto dello scultore imolese Giovanni Vighi nel 1964».

Due curiosità

«Le carrozze sono due perché le regole cerimonali prevedevano che un cardinale dovesse avere sempre un seguito con sé. E nel passato il vescovo di Imola è stato quasi sempre anche un cardinale», spiega Andrea Ferri, vicedirettore dell’Archivio diocesano. «Quando una delle due carrozze trasportava la Madonna del Piratello, la seconda la seguiva come segno di omaggio, dovuto ancora di più alla Madonna se già previsto per un cardinale». Inoltre, «una carrozza è stata ridipinta di marrone perché è appartenuta al vescovo Paolino Giovanni Tribbioli, che era un cappuccino» continua Ferri. «Sempre secondo il cerimoniale, gli abiti e gli altri accessori appartenenti a un vescovo membro di un ordine religioso dovevano uniformarsi al colore della sua veste, in questo caso il saio marrone».

Ritornare alle radici

«Non si tratta esclusivamente di una curiosità storica. Né di ammirare qualche cosa di bello», continua monsignor Giuseppe Signani, prefetto del Palazzo vescovile. «E’ un ritorno alla presenza viva di Maria nella storia di questa città. E’ assolutamente fondamentale ritornare alle proprie radici».

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