Minardi ricorda Senna: «Sarebbe venuto nella mia scuderia»

imola. «La dimensione della grandezza di Ayrton sta nel fatto che ancora oggi, dopo 30 anni, siamo qui a celebrarlo come se fosse il giorno dopo quella tragica domenica». Gian Carlo Minardi ricorda così l’indimendicato campione brasiliano, scomparso durante il Gp dell’1 maggio 1994 dopo lo schianto alla curva del Tamburello nel corso del settimo giro di cui domani ricorre il trentennale della morte.

Il giorno più duro

«Fu una giornata, emotivamente parlando, difficilissima - continua -. Avevo due piloti in pista molto amici di Senna, come Alboreto e Martini, che via radio mi chiedevano in continuazione aggiornamenti sulle sue condizioni. Dal muretto però dovevo dir loro una “balla”, pur sapendo che anche io in quegli attimi stavo perdendo un grande amico. Mi resi subito conto che la situazione era disperata, a maggior ragione quando vidi l’elicottero atterrare in pista. E poi conoscevo uno dei medici intervenuti nei soccorsi».

Il più grande

In questi anni, però, più che il pilota Senna è emersa l’umanità di Ayrton, la sua attenzione verso i meno fortunati e le persone in difficoltà. Un uomo triste e un po’ schivo nonostante la sua fama e i suoi successi, forse alla ricerca di qualcosa di più importante. «È amato pure da tanti giovani che purtroppo non l’hanno mai visto correre - spiega -. Questo la dice lunga su cosa ci abbia lasciato in eredità, perché per vedere quanto fosse bravo basta leggere i suoi successi nelle enciclopedie».

Di aneddoti attorno al suo mito ne sono stati raccontati tanti, ma a Minardi uno in particolare è rimasto impresso nel cuore e nella mente. «Era nel mio motorhome con suo padre e il fotografo Angelo Orsi e mi disse che doveva prima vincere cinque titoli mondiali (si fermò a tre, ndr) e poi sarebbe venuto da me per fare grande la mia scuderia - ricorda -. Parole che mi gratificarono moltissimo».

La Romagna nel destino

Un rapporto, quello tra Senna e Minardi, ricco di stima e fiducia e più di una semplice amicizia. «Ero il suo fratello maggiore, come mai mi è capitato con altri piloti, e gli davo consigli disinteressati - conclude -. Tutto è nato nel 1982 quando gli offrii per l’anno successivo il sedile della nostra monoposto in F2, ma lui rifiutò perché aveva già un piano in mente. Voleva entrare in F1 e laurearsi campione del mondo nel 1988. E così avvenne». Il resto, seppur triste, è storia.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui