Ludopatia in crescita, «C’è chi si gioca dieci volte lo stipendio»


La parola ludopatia, meglio conosciuta come dipendenza da gioco d’azzardo, in questi giorni è forse una delle più sentite in televisione e lette sui giornali dopo l’esplosione del caso scommesse che vede coinvolti calciatori importanti come lo juventino Fagioli e i nazionali Tonali e Zaniolo. Uno scandalo destinato però ad allargarsi con l’ex re dei paparazzi Fabrizio Corona pronto a fare altri nomi questa sera su Rai 3 durante la trasmissione «Avanti Popolo» di Nunzia De Girolamo. La ludopatia ha comunque radici profonde nella nostra società e non coinvolge solo personaggi ricchi e famosi. Lo sa bene il dottor Stefano Gardenghi, direttore dell’unità operativa Dipendenze patologiche dell’Ausl di Imola.
Come evolve il problema
«Negli ultimi anni i casi sono in aumento, anche se non in modo esponenziale – commenta Gardenghi –. Tra i mille pazienti che abbiamo in carico, circa un centinaio soffrono di dipendenza da gioco d’azzardo. Numeri drammatici, a cui si aggiungono quelli che non si avvicinano al nostro servizio perché ancora non la considerano una dipendenza o cercano di tenerla controllata e curarla da soli». Un fenomeno in crescita «perché è c’è una maggior sensibilità al problema e se ne parla tanto – prosegue –. Spesso a contattarci sono i familiari arrabbiati e preoccupati non solo per l’aspetto economico ma anche per la deriva che la vita della persona malata prende. Per questo lavoriamo molto con le famiglie grazie a tecniche di psico-educazione. Si tratta di percorsi molto lunghi, dove talvolta servono anche interventi farmacologici sui pazienti».
Vari livelli di patologia
Non tutti però soffrono dello stesso tipo di patologia. «La persone più facili da curare sono quelle che, frequentando amici giocatori, puntano soltanto per abitudine – precisa Gardenghi –. Altri, invece, si avvicinano perché dietro c’è ansia, depressione e noia e così per qualche ora il cervello non pensa ad altro. Poi ci sono i casi più gravi dove il demone del gioco si infila tra disturbi della personalità e il consumo di alcol e droghe». Casi differenti, ma tutti o quasi uniti dallo stesso comune denominatore, che non è il desiderio di vincere. «All’inizio lo fanno per questo, ma alla fine quello che cercano e di cui non possono fare a meno è la carica di adrenalina che si genera aspettando il risultato – spiega –. Le nuove modalità di giochi online creano ancora più dipendenza, perché l’attesa è breve e così la persona mantiene alte le emozioni forti e i livelli di dopamina e serotonina».
Poste da capogiro
Così alcuni in un mese arrivano a giocarsi cifre da capogiro. «Anche fino a dieci volte lo stipendio – aggiunge Gardenghi –. Qui però entra in ballo il concetto di tolleranza, esattamente come per alcol e droghe. Se scommetto 100 euro dopo un po’ quel quantitativo non mi fa più effetto, così alzo la posta non solo per rientrare delle perdite, ma anche per avere gli stessi brividi di prima». A far capire quanto il fenomeno sia diffuso basta soffermarsi sulle età delle persone in cura. «Abbiamo quasi una decina di minorenni – dettaglia Gardenghi –, ma il target più interessato va dai 25 ai 45 anni. C’è pure qualche pensionato che non sa come riempire il tempo libero. In generale sono coinvolti soprattutto gli uomini (rapporto 6 a 1), anche se le donne che ci contattano di solito hanno problemi molto gravi». Tornando, infine, sul caso dei calciatori finiti nella bufera delle scommesse, Gardenghi è chiaro: «Chi fa sport l’adrenalina la trova già lì ma non è sempre vero – conclude –. Tra queste persone coinvolte magari qualcuno lo fa per il gusto di trasgredire. Altri, invece, possono essere davvero affetti da una dipendenza. La ricchezza e la fama non tutelano dalle psicopatologie. I soldi dovrebbero rendere la vita più facile, ma se una persona tende alla depressione lo è indipendentemente dal conto in banca».