La tuta da lavoro sopra la bara al posto dei fiori per l’addio a frate Vittore a Imola

Imola
  • 22 agosto 2024

Alla messa funebre di frate Vittore, i tanti che ieri sono andati per salutarlo sapevano di non aver perso un fratello, un padre, un amico, un parente. Non c’erano lacrime e il dolore del cuore si scioglieva con i canti, le note della chitarra, i tamburi dei confratelli africani, le voci accordate sui versi della Canzone di San Damiano: «Ogni uomo semplice porta in cuore un sogno con amore e umiltà potrai costruirlo... Se vorrai un giorno con il tuo sudore, una pietra dopo l’altra, alto arriverai». Di sudore fra Vittore, nato Urbano Casalboni a San Vittore di Cesena 82 anni fa, ne ha versato tanto.

La forza, il lavoro, la preghiera

Di sé diceva: «Poca testa, tanta forza, questo mi ha dato il Signore». E il lavoro, anche duro, era il suo strumento per onorare la scelta fatta fin da giovane di diventare frate laico francescano e dedicarsi ai confratelli e ai più poveri. La sua forza instancabile, la sua corporatura possente, l’hanno ricordata in tanti. Frate Filippo da Cesena che ha officiato la messa, fra Michele di Vignola che ha raccontato la sua vita, gli altri confratelli e la nipote Fabiola Zoffoli. Ma quella forza era sorretta, non solo dalle «sontuose spaghettate» che qualcuno ha menzionato, ma soprattutto dalla fede sincera, incrollabile, dalla preghiera che ha pervaso la sua esistenza, dal silenzio.

Sulla bara di fra Vittore, che ha sempre messo il lavoro al primo posto, non a caso non c’erano fiori ieri, ma una tuta grigia da lavoro, questa volta piegata. «In questi giorni abbiamo cercato tanto la sua tuta, ma non l’abbiamo trovata - raccontano i confratelli che ne hanno portata una come la sua, di quelle che indossano i volontari del campo missionario -. Forse l’ha portata con sé come lasciapassare per il paradiso».

Una vita per le missioni

Nella sua grande famiglia agricola ha lavorato fino al 1960 quando, assecondando la sua vocazione, ottiene di entrare nel noviziato di Cesena. Dopo i primi voti viene destinato al convento come fratello laico, dal 1963 al 1973 a Castel Bolognese. La passione gli era venuta ascoltando i racconti dei frati impegnati nelle missioni e anche lui a un certo punto, da Faenza è partito per l’Etiopia. Rientrato, dopo circa un anno ha continuato a lavorare “a distanza” per l’Africa occupandosi del centro raccolta missionario di Bologna dal 1985 , poi nel 1996 è arrivato a Imola dove è diventato l’anima, e il corpo, del campo missionario che ogni anno, come in questi giorni, lavora per il mercatino che raccoglie fondi per l’Etiopia. Poi è arrivata la fragilità della malattia che lo ha costretto all’infermeria dell’ordine, a Reggio Emilia, dal 2017 fino alla fine, il 16 agosto scorso. Quando il suo corpo non rispondeva più al suo desiderio di lavorare, caricare, scaricare, spezzare con mazze e martelli elettrodomestici e mobilia da destinare a un’economia circolare ante litteram senza altro profitto che la carità, la fede e la preghiera lo hanno accompagnato. Ma come dice qualcuno: «In Paradiso si preparino, fra Vittore ha sempre qualcosa da fare», trovino quindi il modo di insonorizzare qualche angolo per far risuonare i suoi martelli e le sue mazze

Di poche parole, ma quelle giuste evidentemente, «capace di schietta amicizia, fra Vittore ha sottratto tante ore al sonno ma non al lavoro» . Ora si riposa, ma coloro che gli sono stati amici e fratelli sanno che non smetterà di lavorare, pregando per loro.

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