Imola, la prima presidente migrante di "Trama di terre"

Imola

“Trama di terre” ha una nuova presidente ed è un’attivista storica, la prima donna migrante a ricoprire questa carica nell’associazione dichiaratamente femminista che di donne e di migrazione tratta da 25 anni, prima a Imola e fra le prime in Italia, da sempre impegnata contro la violenza di genere e il dialogo interculturale. Khadija Ait Oubih, nata a Casablanca nel 1973 e cittadina italiana dal 2005, è stata eletta il 26 gennaio scorso dalle socie. A Trama di terre è arrivata 19 anni fa ed è cresciuta nell’associazione per la quale ha lavorato prima come mediatrice culturale e da aprile 2016 come operatrice interculturale di genere nel centro antiviolenza. È dunque molto conosciuta in città anche nell’ambito dei servizi sociali e alle forze dell’ordine.

Khadija la sua è una storia di donna migrante emblematica. Come è cominciato il suo percorso?

«Sono arrivata in Italia dal Marocco per un ricongiungimento familiare, mio marito viveva già in Italia. Era il 1991 avevo preso il diploma di maturità ed ero giovanissima. Dopo qualche tempo mi sono separata e ho proseguito la mia vita da sola, con la figlia che ho avuto successivamente e che oggi ha 21 anni e studia Economia all’Università. Mi sono impegnata a imparare l’italiano, a conoscere il luogo dove vivevo, a trovare un lavoro, mi sono ricostruita un’esistenza».

A Trama di terre quando è arrivata la prima volta?

«Di fatto nel 2002 mentre attraversavo un momento difficile dopo la separazione dal mio secondo marito. Ma avevo conosciuto già nel 1995 Tiziana Dal Pra, fondatrice di Trama di terre, a un corso di orientamento professionale per le donne migranti. Avevo fatto un corso per mediatrice culturale, mi sentivo pronta a mettere a disposizione tutto il mio bagaglio per altre donne che vivevano la stessa situazione che avevo vissuto io, per aiutarle a non fare gli stessi sbagli che all’inizio avevo fatto io: non conoscere il territorio, non conoscere le leggi dell’Italia e del proprio Paese, non chiedere aiuto. Quindi il mio rapporto d’amore con Trama di terre dura da 19 anni; qui ho trovato un posto laico dove le donne vengono accolte sempre, indipendentemente dal loro colore, dalle idee politiche e religiose, dalle diversità personali».

Lei si definisce femminista?

«Io mi definisco attivista, e dentro questa parola c’è anche la parola femminista. Il femminismo l’ho conosciuto in Italia, nella storia delle donne che hanno lottato per i diritti di tutte le altre donne, cosa che anche io da attivista ho fatto. Magari chi mi vede con l’hijab fa un po’ fatica a crederci».

Un velo che lei non ha sempre portato, ma che ha scelto. Un simbolo che desta a volte diffidenza, anche fra le donne?

«Qui a Trama passano donne di ogni etnia e non si fanno differenze. Io non l’ho indossato fino al 2006. Fu dopo una seria operazione chirurgica che cominciai a pensare alle mie origini. Mi ritrovai, e decisi che lo avrei messo. Ancora oggi si pensa che dietro a un velo ci sia un maschio che costringe una donna a metterlo, ma non è sempre così. Se può esserci la scelta di non portarlo, può esserci anche la scelta di metterlo. Io ho cinque sorelle, oltre a due fratelli. I nostri genitori, mio padre con licenza elementare e mia madre analfabeta, ci hanno sempre lasciate libere, ma fu proprio mia madre a volere che tutti gli otto figli e figlie studiassero. Ho una sorella che fa l’insegnante ed è velata, un’altra che vive in Usa ed è consulente di una grande azienda ed è velata, mia cognata è ingegnera ed è velata. Mia figlia no. Perché nel 2022 si dovrebbero discriminare le donne musulmane che portano il velo, pensando che siano ignoranti o che questo indichi una loro inferiorità? Il velo copre la testa, non il cervello».

Quindi il velo non ha cambiato la sua vita?

«Chi mi conosceva di persona o sul lavoro non ha cambiato atteggiamento nei miei riguardi, conoscendo me e il mio valore. Il problema però c’è ancora con chi non ti conosce ma ti giudica».

Lei ha vissuto la migrazione e l’ha vista cambiare. Oggi quali sono i bisogni delle donne migranti e cosa fa Trama di terre?

«Dopo aver lavorato fino al 2016 nella mediazione culturale, senza il rinnovo degli appalti, ci siamo concentrate sul centro antiviolenza e l’accoglienza delle rifugiate. Se in origine la migrazione delle donne era soprattutto legata ai ricongiungimenti, nel tempo sono cresciute le donne sole in fuga soprattutto dall’Africa del centro e del sud, in fuga dalla tratta o dalla guerra soprattutto. Nessuno lascia la propria casa per divertimento, ma solo se è disperato. Oggi ci sono più risposte per le migranti, il servizio di mediazione culturale, l’accoglienza, più corsi di italiano che una volta facevamo solo noi a Trama ma oggi fanno in tanti. Oggi possiamo garantire fino a 48 rifugiate. Con loro, come con le donne vittima di violenza, creiamo dei percorsi di indipendenza, in relazione sempre con i servizi della città, rispettando i loro tempi e le loro storie di vita».

Per lei cosa cambia da adesso che è diventata presidente?

«Devo ancora realizzare bene. Dobbiamo riorganizzare un po’ i compiti e lo faremo confrontandoci sempre fra di noi. So che non saranno solo rose e fiori, ma io sarò come sono sempre stata: ambiziosa e desiderosa di imparare e farò del mio meglio per fare restare Trama di terre il luogo di accoglienza per tutte le donne che ho conosciuto e che ho sempre vissuto».

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