Imola, intervista al nuovo assessore all'urbanistica Zanelli

Imola

IMOLA. Bolognese, architetto, classe 1951, Michele Zanelli è l’outsider della nuova giunta imolese. Il tecnico a cui è stato attribuito l’assessorato “pesante” dell’Urbanistica. La cosiddetta “macchina comunale”, però la conosce bene, dal momento che fino al primo giugno 2018 era stato il dirigente del settore tecnico e urbanistico della stessa città. Ora rientra in quell’ufficio in altri panni, quello di assessore.
Come è avvenuta la sua cooptazione da parte del sindaco Marco Panieri?
«Con mia grande sorpresa appena sono apparsi primi risultati elettorali sono stato chiamato dal sindaco. Credevo volesse chiedermi buoni consigli da tecnico e invece mi ha fissato un appuntamento per incontrarci il giorno dopo e lì mi ha fatto la proposta. Non ero preparato. Non avevo colloqui con Imola, a parte qualche telefonata di amicizia coi miei ex collaboratori, da giugno 2018».
Lei ha lavorato con l’ex sindaco Manca, la giunta grillina invece non l’ha nemmeno incrociata.
«Il mio incarico sarebbe finito con la fine del mandato di Manca, ma quella data coincideva anche con il mio pensionamento: sono andato in pensione il primo giugno 2018, così non ho neanche visto il passaggio che ha portato alla sindaca Sangiorgi. Sono immune dalla cosiddetta fase di cambiamento».
Ora riprende in mano da assessore quello che era stato il suo ufficio da dirigente. Quale situazione ha trovato tornando?
«La situazione l’ho ritrovata come ibernata. Molte questioni che riguardavano l’urbanistica e lo sviluppo industriale della città sono rimaste più o meno le stesse. Nel frattempo il mondo è andato avanti e sono scattate alcune scadenze improrogabili come quella dell’assunzione del Piano territoriale metropolitano per la pianificazione territoriale, o la necessità di avere un Ufficio di piano a livello di circondario per la gestione del Pug, il nuovo piano urbanistico generale. Secondo me in questo momento c’è qualche problema nell’individuazione all’interno degli uffici la struttura necessaria per portare a termine queste scadenze. Una delle priorità è quindi mettere mano alla tecnostruttura del Comune per ripartire, valorizzando figure chiave che ci sono e che ho conosciuto quando ci lavoravo, ma anche impostando rapporti innovativi con Circondario e vari enti e partecipate prendere governo della città nella direzione del protagonismo che il sindaco ha ben esplicitato, delineando nettamente le priorità».
La scadenza per le osservazioni al Piano territoriale metropolitano è vicinissima, come farete?
«La scadenza è il 17 ottobre, molto ravvicinata. Perciò abbiamo chiesto di avere una proroga tecnica che spero ci venga accordata per consentire al Comune di Imola di mettersi al passo».
Come impatta questo piano su Imola?
«Ha bisogno di essere insediato sul Pug che governerà città nei prossimi anni per capire quanto lo condiziona. Alcune conseguenze si possono immaginare altre meno. Ma in questo momento abbiamo bisogno di leggerlo accuratamente, ci serve il tempo per poterci… mettere il naso. Noi poi dobbiamo trovare la dimensione utile per intervenire come circondario, come la nuova legge urbanistica regionale consente».
Ma il Circondario è utile o complica il rapporto con le istituzioni come Città metropolitana e Regione in questo campo?
«Per alcuni aspetti è uno strumento indispensabile, in grado di valorizzare il territorio. Per altri aspetti, ogni Comune grande medio o piccolo che sia ha bisogno di autonomia per decidere elementi basilari del proprio sviluppo edilizio e industriale. Però bisogna accettare che esista un breviario di regole comuni da rispettare, altrimenti l’autonomia rischia di diventare caos».
Il sindaco ha parlato di riunire, anche fisicamente, gli uffici e gli assessorati che si occupano di territorio e pianificazione. Una cosa che lei condivide?
«Molto, già quando ero direttore tecnico avevo pensato di impostare così il lavoro. Anche per il cittadino è utile l’unificazione di sportelli di attività produttive e urbanistica anche in uno stesso immobile. All’epoca non c’era questa immediata disponibilità. Ora il sindaco indicato in via Cogne quello che potrebbe diventare polo e questo amplia moltissimo le prospettive e attiverebbe nuove utilissime sinergie, ad esempio fra chi si occupa di sviluppo del commercio e chi segue la viabilità sostenibile o urbanistica ed edilizia. Insieme possono incidere molto di più sulla qualità degli interventi».
Due anni fa mancava la disponibilità logistica o non c’era la disponibilità “mentale” a farlo?
«Sembrava molto complicato trovare una quadra per tutte le sedi comunali. Si ipotizzava lo spostamento a cascata di tanti uffici e allora mi dissi che non ne avrei visto la fine…».
Ora ne governerà l’inizio… Dal punto di vista urbanistico, Imola di cosa ha bisogno oggi. Cosa è rimasto troppo fermo e cosa si può correggere nel caso si fosse invece esagerato ?
«Credo che Imola con i suoi 70mila abitanti abbia asset più importanti della sua stessa dimensione. Oltre ad essere la seconda città del territorio metropolitana è un polo per diverse attività che hanno valenza regionale, ad esempio l’autodromo oppure l’Osservanza e ognuno di questi si tira dietro una prospettiva che va oltre la gestione ordinaria. Credo che si debba andare a cercare meglio per investire sul rilancio di alcune prerogative di Imola. Ad esempio Imola è una città da abitare: ha una sua attrattiva ambientale e di servizi ben collocati e di buon livello, una accessibilità molto positiva, si tratta di dare forza a questi aspetti anche con interventi puntiformi. Ad esempio sul centro storico, che ne ha bisogno, come tutti i centri storici. La visione complessiva parte dal rimettere mano a pianificazione e agli accordi già sottoscritti per la riqualificazione delle aree industriali, per poi proporre e dare possibilità che altre opportunità si creino. E queste proposte andranno portate in Città metropolitana e Regione che saranno portatori di risorse importanti da distribuire sui territori».
L’ultima grande lottizzazione fra Imola e Piratello fu bloccata dalla crisi molto prima dell’arrivo della pandemia. Oggi in che direzione si andrà?
«Più che le indicazioni delle nuove leggi, e in particolare della legge 24 regionale verso il non consumo di suolo, in questo momento l’inversione di tendenza sta nei fatti. Molti territori già urbanizzati hanno smesso di essere appetibili dal punto di vista edilizio e credo noi che dobbiamo ancora smaltire parti costruite e che non hanno più mercato. Non credo che sia opportuno mettere in campo nuove lottizzazioni se non i completamenti delle espansione già in essere. Occorre ragionare molto sul costruito e ragionare sulla qualità urbana, sulle piazze, le strade e le attività che vi si affacciano, e questo si può fare solo in un rapporto positivo pubblico-privato. Vanno favoriti e aiutati piccoli o grandi interventi, ovviamente sotto guida ragionata e ragionevole».
Con che strumenti ?
«Conto molto sull’ evoluzione della cultura urbanistica che ha influito anche su molte legiferazioni recenti. Penso al Decreto semplificazione che nella sua ultima stesura ha raccolto emendamenti che facilitano molto alcuni interventi sul costruito. Uno mi piace particolarmente: c’è un nuovo istituto per consentire in modo semplificato l’uso temporaneo di immobili dismessi senza la necessità che si debba variare, ad esempio, la destinazione d’uso. Si fa una convenzione con il proprietario privato, si stabilisce come, per quanto tempo e con quali finalità si interviene per utilizzare l’immobile e gradualmente si va verso la destinazione definitiva. Questo può essere applicato ad esempio alle caserme dismesse che non trovano acquirenti; a Imola penso all’ex Macello. Fermare il degrado con un uso di queste strutture per me è già un modo di intervenire in centro storico consistente. Il Covid ci ha poi portato a ragionare sulla densità non più come un bene assoluto per migliorare qualità urbana , anzi, ora al contrario si pensa che sarebbe meglio avere degli spazi più ampi, nel caso dovessimo affrontare nuovo lockdown, sono mutati gli standard urbanistici. Dobbiamo facilitare la fioritura di nuove possibilità attraverso un rapporto pubblico privato molto fecondo per farlo».

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