Imola, il dolore delle donne scuote il consiglio comunale

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Il dolore, la fatica, le quotidiane battaglie delle donne, per riconquistare se stesse e la propria libertà, irrompono in consiglio comunale. Arrivano a scuotere politica e istituzioni, e a scardinare un cerimoniale altrimenti fine a se stesso (assente in aula il sindaco Panieri che ha mandato un videomessaggio, dopo quello della ministra Bonetti da Roma), per voce delle associazioni e dei servizi che le donne le accolgono e ogni giorno dei casi di violenza che le travolgono si occupa in silenzio. A volte fin troppo in sordina, perché se un problema non si nomina mai è come se non ci fosse.

Servizi sociali

Emblematico in tal senso quanto riferito ieri in aula nel corso del consiglio comunale straordinario nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne dalla presidente dell’Asp di Imola, l’avvocata Renata Rossi Solferini. «Un problema odioso quello della violenza di genere, in tutte le sue fasi. Un problema che non tutte le donne vogliono o riescono a denunciare, perché temono di non essere ascoltate, o di incorrere nei tempi lunghi della giustizia. Ma la giustizia è anche veloce quando vuole». Come nel caso drammatico portato ad esempio: quello di una 15enne straniera residente nel territorio, vittima di violenza fra le mura di casa da parte di un parente. «Una situazione difficile, per cui sono stati necessari molti accertamenti, anche genetici data la complessità, e l’allontanamento di questa piccola donna in un ambiente protetto. La tutela all’Asp è stata affidata a febbraio scorso, nel processo come parte civile mi sono costituita io in quanto legale rappresentante dell’Asp. Il 3 novembre è arrivata la sentenza di condanna a 7 anni di carcere per chi aveva usato violenza sulla bambina. È stata fissata anche una provvisionale di 50mila euro che faremo di tutto per incassare e mettere da parte per lei, perché alla sua maggiore età abbia una vita migliore di quella che ha avuto fin qui». Il caso, mai reso pubblico prima, ha toccato i presenti per la sua drammaticità. Ma non sono da meno le storie mai dette che si celano dietro tanti numeri dei servizi sociali stessi, specie quando, e di rado viene reso noto dagli enti anche questo, si racconta come poi si sono risolti i casi affrontati. «Nel 2020 abbiamo avuto in carico 47 donne al loro primo accesso ai servizi sociali per maltrattamenti – spiega ancora Rossi Solferini –. Come è andata a finire un anno dopo? Che 34 sono tornate a casa, nel senso che 16 vivono oggi da sole autonomamente, ma 18 sono tornate a vivere proprio nella casa di chi le aveva maltrattate. Sei sono ancora sotto protezione, una vive da amici, una se ne è andata all’estero, di 5 abbiamo perso le tracce. Questi dati rappresentano la complessità dei percorsi di uscita dalla violenza».

«A dismisura di donna»

Quali sono gli ostacoli? Cose all’apparenza semplici eppure per molte insormontabili tanto da non lasciare altra scelta che ritornare nella casa dei loro aguzzini. Quello che chiedono le donne per essere libere è quello che chiedono tutti: la casa, un lavoro, l’autonomia di un reddito. Spesso anche una burocrazia meno disumanizzante. Come ha raccontato la presidente dell’associazione Trama di terre, Alessandra Davide, che gestisce uno dei centri antiviolenza della città che quest’anno ha accolto 100 donne. Ha letto frasi di quelle che ogni giorno le donne pronunciano chiedendo aiuto, o strada facendo: «Dicono che è un bravo padre; lui mi dice che sono matta; se lo denuncio mi fa togliere il bambino; non mi hanno creduta; non mi affittano la casa perché sono da sola con un bambino; i miei documenti e il mio permesso di soggiorno se li è tenuti lui e non ne posso avere di nuovi; mi fanno lavorare solo in nero...». Cento storie passate da lì solo quest’anno. «I numeri ve li abbiamo detti, le nostre proposte anche – sintetizza Alessandra Davide rivolgendosi ai consiglieri e agli amministratori –. Se siamo qui ancora una volta a dire cosa servirebbe alle donne è perché vogliamo avere fiducia nella politica, un po’ meno ne abbiamo nella giustizia che ha tempi lunghi e che deve controllare di più gli uomini che commettono violenza. Chiediamo un intervento reale e magari l’anno prossimo torneremo, magari non a raccontare quello che facciamo noi, bensì ad ascoltare cosa avete fatto voi».

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