Imola, il cordoglio per l'operatrice Ausl contagiata e deceduta

Imola

IMOLA. Aveva 45 anni, lavorava come operatrice socio sanitaria all’Ausl di Imola, della quale era dipendente. Si è ammalata nel reparto no Covid di Medicina all’ormai tristemente famoso sesto piano, dove è scoppiato il primo focolaio ospedaliero imolese di questa seconda pesante fase pandemica. Emanuela Cavallari, non ce l’ha fatta, i colleghi sotto choc dicono che non avesse altre patologie, o almeno secondo loro stava bene, prima di essere contagiata dal virus. Da giorni era stata trasferita alla Terapia Intensiva di Bologna e nelle prime ore di ieri ha smesso di respirare. Lascia una figlia adolescente e il marito, ma il suo caso figurerà nella lista dei deceduti con o per Covid che l’Ausl di Imola divulgherà oggi. Anche il ricordo dell'Ausl è arrivato oggi stesso: "Sei sempre stata una persona speciale, dolce, umile ed altruista. La morte ti ha strappato troppo presto dalla vita … Tu e la tua bontà d’animo lasciate nei nostri cuori un segno indelebile”. E’ il saluto dell’équipe della Medicina A alla collega. Emanuela Cavallari era dipendente dell’Azienda USL di Imola dal 2018 ed ha sempre lavorato nel reparto internistico del VI piano, dove tutti i colleghi la ricordano con grandissimo affetto. "La Direzione aziendale e tutti i dipendenti dell’AUSL di Imola si uniscono nel cordoglio per questa perdita e si stringono ai colleghi di Emanuela e, soprattutto, alla sua famiglia. Non c’è consolazione per una perdita così devastante, prematura ed inaspettata, ma al di là di ogni credo chi, come Emanuela e come tanti, lavora per assistere gli altri, soprattutto i più fragili e bisognosi, lontano dai riflettori e dalla notorietà, resta immortale. L’Azienda USL di Imola, e crediamo la nostra intera comunità, non dimenticherà la grande dignità, l’impegno e l’amore con cui questa collega svolgeva il suo lavoro", ha commentato oggi l'Ausl in una nota.

Di questa prima morte fra gli operatori sanitari di Imola (dopo il caso dell’infermiere di Casalfiumanese che però lavorava al Sant’Orsola di Bologna) ha parlato ieri in consiglio comunale il consigliere della Lista Cappello Dino Bufi, dopo che il sindaco aveva pronunciato la sua comunicazione aggiornando sulla situazione sanitaria, e sulla quale si è poi scatenata un’aspra discussione. Ma già nelle corsie dell’ospedale la preoccupazione è da settimane che pesa sugli operatori sempre più opprimente e anche ieri i sindacati avevano già preso la parola, dopo il presidio del 24 novembre e dopo lo sciopero del 9 dicembre scorsi, chiedendo chiarezza e ancora una volta più sicurezza, questa volta con il cuore ancora più gonfio per la sorte toccata alla giovane collega.
Le domande del sindacato
Ci sono i contagi negli ospedali, e c’è il fronte sempre più critico delle case di riposo sono 365 gli operatori sanitari oggi in quarantena, non pochi su 1900 complessivi operativi sul territorio. I sindacati che meno di un mese fa chiedevano più sicurezza ora vogliono sapere «cosa non ha cosa non ha funzionato». In particolare la situazione dei contagi nelle strutture sanitarie e residenziali per anziani o disabili è molto diversa dalla prima fase della scorsa primavera, allora il virus non era nemmeno entrato fra quelle mura. «Come ci si può spiegare il fatto che si sia passati da zero contagi tra gli ospiti delle cra a diverse decine, registrando purtroppo anche delle vittime? – chiedono Erika Ferretti e Maurizio Serra della Funzione pubblica Cgil di Imola in una nota –. Le situazioni che hanno favorito la diffusione dei contagi sono sovrapponibili a più di una realtà e per questo motivo occorre analizzare le problematiche trasversali che hanno avuto conseguenze gravi e negative. Non si tratta solamente di verificare eventuali responsabilità, ma soprattutto di rimediare in tempo reale a quelle situazioni che hanno mutato in modo pesantemente negativo il panorama dei contagi nel territorio del circondario imolese. E riteniamo semplicistico affermare che il virus è entrato nelle strutture sopracitate attraverso gli operatori, come se vi fosse stato un rilassamento collettivo rispetto alle regole da seguire». La loro idea gli operatori che entrano ogni giorno nelle divise e nei camici di chi il virus lo guarda negli occhi dei malati, a volte dei colleghi, ce l’hanno. E se a novembre chiedevano procedure e protocolli logistico e organizzativi chiari, tamponi e controlli efficaci oggi dicono: «A nostro avviso ci sono state difficoltà importanti nel delimitare le aree Covid free rispetto a quelle dove si verificavano i contagi. Il fatto che gli spazi, nelle Cra così come presso l'ospedale di Santa Maria della Scaletta, non siano stati così nettamente differenziati ha fatto sì che gli operatori entrassero a contatto con persone che avevano contratto il virus diffondendo a loro volta il contagio. Con il risultato che, come è successo per la Cra “Santa Maria” di Tossignano, la quasi totalità degli ospiti e degli operatori sia stata contagiata dal virus». Lo avevano già messo sul piatto delle criticità a novembre, e lo avevamo riportato anche allora, che una delle procedure più rischiose fosse quella della mobilità fra i reparti, indotta dalla carenza di personale dovuta all’estendersi del contagio anche fra gli operatori stessi. «Il problema spazi è stato aggravato dal fatto che gli operatori per coprire le carenze di organico si siano spostati da un reparto o da un nucleo all'altro non mantenendo una rigida suddivisione dei percorsi sporco/pulito, così come vengono definiti dagli operatori, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. La responsabilità degli spostamenti non deve ricadere sugli operatori che hanno lavorato per garantire livelli essenziali di assistenza – sottolineano i sindacalisti della Fp Cgil –. Così come ha causato delle conseguenze il non avere tenuto allineati dal punto di vista temporale i tamponi fatti agli operatori con quelli degli ospiti, come per esempio è successo nelle Cra di Imola. E si può anche ipotizzare che, rispetto alla sorveglianza sanitaria per gli operatori dei servizi sanitari e socio sanitari, si sia partiti tardi e solamente al verificarsi dei primi casi». Spostamenti, logistica, e anche, come nel caso del sesto piano, la possibilità di accesso consentita ai parenti fino alla prima settimana di dicembre scorso «può essere stato un ulteriore elemento di diffusione del contagio», dice il sindacato, ricordando che il virus può presentarsi in modo asintomatico o con forme lievi paragonabili a sintomi da raffreddamento, «l'unico modo per combatterlo è utilizzare tutte le procedure necessarie e gli isolamenti necessari sia tra le persone che nella gestione degli spazi». Quindi l’appello è duplice: che non faccia ricadere la colpa sugli operatori e che quelli che «consideriamo errori nelle indicazioni fornite agli operatori, rispetto alle procedure da mettere in campo, non si verifichino nuovamente» dice il sindacato.
Ausl in supporto alle cra
La carenza di organico, con i numeri crescenti di contagiati fra il personale è stata una delle fragilità che andrà valutata, ma lo è stata, sempre secondo il sindacato, anche lo spostamento di personale per sopperire anche nelle strutture gestite da privati. «Nelle case di riposo gli operatori Ausl vanno, obbediscono, ma non sono pochi quelli che descrivono situazioni critiche, specie sulla divisione dei pazienti con o senza Covid, e a noi sindacati lo dicono che la preferirebbero non andare», dice Erika Ferretti del sindacato. «La carenza di infermieri e oss, in parallelo al personale in quarantena o casa perché positivo ai tamponi, ha avuto ricadute negative molto importanti per chi si trovava a dovere garantire almeno dei livelli essenziali di assistenza –continua poi la nota della Fp –. Chi lavora nelle strutture sociosanitarie e sanitarie deve lavorare in sicurezza, deve vedere concretamente l'adozione di tutti i provvedimenti e di tutte le procedure necessarie a salvaguardare la loro salute e quella degli ospiti e dei pazienti delle diverse realtà».

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