Ezio Zermiani: «Diversa e affascinante, Imola è la storia»

Imola

Dal 1982 al 1998 inviato ai box nel Mondiale di Formula 1 per la Rai, dal 2007 al 2009 direttore dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari: una vita professionale dedicata ai motori. Difficile trovare qualcuno che possa ripercorrere la storia del circuito imolese meglio del 79enne Ezio Zermiani.

Allora, si aspettava l’inserimento di Imola nel calendario 2021?

«Sinceramente no. Già mi era sembrata una sorpresa il ritorno nel 2020 e credevo impossibile un bis del genere. Il merito di chi ha lavorato a questo progetto va riconosciuto, quindi il presidente Bonaccini, Sticchi Damiani, Formula Imola e le istituzioni locali. Hanno dovuto battere una concorrenza mondiale e non era affatto scontato riuscirci. Poi secondo me un piccolo, ma neanche troppo, segreto c’è».

E quale sarebbe?

«Beh, credo che un ruolo Stefano Domenicali lo abbia avuto sicuramente. Parliamo del Re Mida del mondo dei motori, lui è di Imola e conosce bene la storia e il fascino del circuito. Un conto è correre in posti sperduti in mezzo al deserto o lontano dal centro, come Budapest e Silverstone. L’Autodromo di Imola sta in una posizione centrale, non distante dall’autostrada e in una città che vive di motori, insomma non rappresenta un Luna Park nel nulla. E Domenicali queste cose le ha ben presenti».

Hamilton stesso ha riempito di elogi la pista imolese. Cosa ha di speciale secondo lei?

«Gli aspetti sono due. Uno tecnico e l’altro emotivo. E’ un tracciato particolare, diverso da quelli che vanno di moda ora e per certi versi pure pericoloso, ma proprio questo affascina i piloti. Non reputo le parole di Hamilton e di altri campioni ruffiane, anzi, Imola li stimola davvero. E poi inutile girarci attorno, il fatto che lì sia morto un campione come Ayrton Senna rende quel posto particolare, un mausoleo a cielo aperto. Se è vero che San Pietro è costruita sulla tomba di Pietro, pure Imola ha qualcosa di sacro per il tragico incidente di Ayrton».

Quali sono i ricordi più forti dei tanti Gran Premi seguiti a Imola?

«Uno su tutti. Era il 1987, Nelson Piquet sulla Williams ebbe un bruttissimo incidente nelle prove del venerdì, al Tamburello. Ne usci illeso, ma lo portarono comunque in Ospedale e chiaramente gli vietarono di correre. Io andai a trovarlo e lui era già lì a festeggiare con le infermerie e i dottori a spaghetti e champagne. Cosa festeggiava? Lo scampato pericolo. Passai la notte con lui e decidemmo di organizzare, il giorno della gara, una diretta particolare. Attorno alle 11.30 di mattina fece un giro del circuito in sella al prototipo appena uscito della Ducati Monster, capelli al vento, salutando i propri tifosi. Ne scaturì una ola spontanea al cui ricordo mi vengono ancora i brividi».

Insomma, Imola ha tante storie da raccontare: ne scelga tre.

«Senza dubbio l’incidente di Berger nel 1989, sempre al Tamburello, con gli angeli della Cea a spegnere le fiamme. E poi le vittorie italiane di Riccardo Patrese nel 1990 e del compianto Elio De Angelis nel 1985. Gioie davvero difficili da dimenticare. E chiudo con un augurio, in barba ad ogni forma di scaramanzia. Credo che sarà difficile togliere il Gran Premio a Imola, per tanti anni».

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