Il valore della leggerezza nel calice secondo "Enio Ottaviani"

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«Facciamo vino per gli amici». Bello, anche perché non è solo un claim. Per capirlo basta farci un salto in piena vendemmia alla cantina Enio Ottaviani, nel cuore della Val Conca. Qui gli amici arrivano a ciclo continuo. Arriva un gruppo di ciclisti e mano a mano che si avvicinano nel capofila si riconosce il volto di un cliente storico che dalla Svizzera è tornato in Romagna per le ferie portando altri amici, ed è una festa di abbracci. Altri due ciclisti si sono persi sulle ciclabili agresti che qui abbondano e sbucano tra i filari, avranno le indicazioni utili per rimettersi in strada, ringraziano e magari torneranno da amici. Amici sono anche quelli che lavorano in vigna, fra questi c’è anche il cantante Thomas Fadi che qui è di casa. Lui arriva sgommando su una Cinquecento rossa decapottabile e con motore potenziato, indossa la maglietta di ordinanza, quella con su scritto “il romagnolo è la seconda lingua più parlata dopo l’inglese nei box del Motomondiale”, il circuito di Misano è a due passi, poi prende le forbici e va in vigna. «Prima o poi faremo venire a vendemmiare i piloti», ragiona ad alta voce Massimo Lorenzi, che una ne pensa e cento ne fa, a ciclo continuo. «Vendere vino non basta se non ci metti intorno tutto il resto», e a parte che tutto intorno da raccontare ce n’è, lui sembra sinceramente divertirsi a farlo. Alla vigna ci pensa invece il fratello Davide “Dado” che sovrintende anche alla cantina insieme al giovane enologo Andrea Giovannini; amministrazione e logistica sono demandate ai cugini Milena e Marco Tonelli. «Le uniche Ottaviani sono le nostre rispettive mamme e zie», spiega Massimo, l’azienda continua infatti a portare nome e cognome del nonno Enio. «Lui era un commerciante di vino e lo stesso lavoro faceva mia madre, che da piccoli ci caricava sul furgone e ci diceva di suonare ai campanelli delle case per chiedere se volevano vino bianco o rosso». La signora Loredana fa sempre la sua parte e in più cucina, benissimo, per la squadra di vendemmiatori. In azienda la chiamano «l’Amazon degli anni Settanta», e infatti cosa voglia dire puntare diritto al consumatore finale lo ha insegnato lei a tutti. «Nasciamo commercianti, produttori lo siamo diventati di recente, da quando nel 2007 abbiamo comprato questa vigna e la cantina», dice orgogliosamente Massimo.

Il vigneto e la cantina

Il vigneto conta 12 ettari di proprietà intorno alla cantina e 13 in gestione sulle colline di San Clemente, una parte delle uve viene acquistata da agricoltori di fiducia sempre in zona. Duecentomila circa le bottiglie prodotte all’anno, esportate per il 35%, per una decina di etichette in prevalenza da uve di vitigni autoctoni, Sangiovese, Rebola, ovvero grechetto gentile, e Pagadebit che sarà l’ultimo a essere vendemmiato a ottobre. Adesso è il momento della Rebola, che a livello commerciale sta vivendo un suo rinascimento grazie al lavoro di promozione del gruppo di produttori riminesi, ed Enio Ottaviani è fra i più coinvolti. Martedì si è partiti dalla vigna di tre anni che dà ora il suo primo raccolto, mentre un altro appezzamento è stato piantato a marzo scorso da Davide e ora si attende. «In cantina abbiamo mantenuto le botti di cemento originarie – spiegano Davide Lorenzi e Andrea Giovannini –. Abbiamo aggiunto un po’ di acciaio per alcuni primi passaggi di pulitura del mosto; lavoriamo tutto in riduzione e il cemento è l’ideale». Leggerezza è la parola d’ordine dei vini della cantina Enio Ottaviani, dal Sangiovese portabandiera “Caciara” ai bianchi profumati e salati come Strati, Clemente I e Rebola stessa. Identifica la promozione, quanto la produzione e quindi passa anche al palato. Il legno quindi è una presenza minima, anche se una bella bottaia è ospitata sotto allo show room di recente realizzazione: una luminosa veranda-bottega-sala degustazione, affacciata sulla vigna e il paesaggio.

Il vino col territorio dentro

Un piede nella vigna e uno al mare, nella gestione quotidiana dell’azienda ma anche “nella testa”, perché la riviera e quello che rappresenta per il turismo, il divertimento, l’estate conferiscono l’imprinting giocoso, poi lo zampino deve avercelo messo anche il dna della nonna cantante. Si respira nell’approccio, nella proposta gastronomica, nei gadget, dai sottobicchieri, all’ “aria di San Clemente in barattolo” con tanto di sigillo. Ma non sono affatto “aria” i profumi, e i sapori che qui si possono assaggiare dalle 10 del mattino a mezzanotte in ogni stagione. «Noi siamo sempre qua, è il nostro lavoro», dice Massimo. E a chi assaggia i suoi vini porta in tavola una carrellata di sapori di artigiani locali: cipolle e carciofini sottolio dello chef Omar Casali, prosciutto de La Madia di Verucchio, porchetta e salumi della Macelleria Stringati di Cattolica, giardiniera dello chef Giammarco Casadei, formaggi di Cau e Spada, acciughe di Pietro Carso dalle Marche, focaccia del forno Villa di Misano. E per dessert? Una cosa geniale: grappoli ghiacciati dell’uva che si sta vendemmiando in settimana, per sentire com’era l’uva che sta già diventando vino. Giocare, si sa, è una cosa seria, ma giocando si lavora meglio e forse si racconta anche meglio un territorio. Insomma, “Caciara” is a state of mind, e non fa male.

Rebola, Caciara, Dado e l’agilità di un sorso

La Rebola 2020 è quasi finita, vale la pena aspettare la nuova per un sorso floreale di fiori bianchi e un po’ di sambuco, sottilmente salato. Fruttato, minerale e fresco anche il Pagadebit Strati. Alla voce Sangiovese, il portabandiera resta il Caciara che con le sue trasparenze peculiari, il profumo di melograno e la leggera pepatura ben si sposa al pesce azzurro, come da tradizione. Più complesso, avvolgente e comunque per nulla greve, è il “fratello maggiore” , di fatto... e di nome, Dado che ogni anno convince sempre di più.

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