Il teologo Vito Mancuso a Poggio Torriana: l'intervista

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Sostiene nel suo libro “Il coraggio di essere liberi” che la domanda più importante sulla libertà non è se esiste ma se noi ci riteniamo tali o se abbiamo il coraggio di esserlo. Vito Mancuso, teologo, saggista, autore di bestseller tradotti in tutto il mondo, docente di Meditazione e Neuroscienze all’Università di Udine, ne parlerà oggi dalle ore 17.30 nella sua lectio magistralis dal titolo “La scala della libertà”. Sarà alla sala teatro del Centro sociale di Poggio Torriana, ospite della rassegna “Mentre vivevo”, moderatrice Laura Fontana.

Mancuso, lei ha affrontato il tema interrogandosi sull’essere liberi come condizione dell’esistenza che passa attraverso il coraggio di sottrarsi alle convenzioni per diventare veramente chi siamo. Che definizione dà del suo essere teologo?

«Sono un teologo laico, mi sembra la definizione migliore, la mia formazione è quella ma si capisce che sono diverso e non rispondo a nessuna autorità ecclesiastica, rispondo a me stesso e alla mia coscienza».

Da uomo di fede e studioso aperto, libero dai dogmi, ritiene sia possibile rifondare la fede?

«C’è sempre stata in me questa fede libera, non dogmatica, e libero vuol dire non assoggettato ai poteri. Gesù ne è stato un esponente significativo, non a caso è stato eliminato dal potere religioso e politico. Ne troviamo altri come gli umanisti del ’400 e del ’500, cito Pico della Mirandola, Tomaso Campanella, Giordano Bruno”.

E oggi quali sono i maestri dello spirito?

«Arturo Paoli, Carlo Maria Martini. È un filone laterale minoritario, osteggiato, ma oggi è la condizione indispensabile in occidente perché l’esperienza spirituale possa essere praticata e stimata da persone libere e responsabili, da chi vuole e sente l’inquietudine e ama la ricerca. Affinché la fede sia stimata va liberata da vincoli dogmatici. Il senso del mio lavoro è questo».

Parlando di guide spirituali non si può non parlare di Papa Francesco. Lei è sempre convinto che non riesca ad apportare cambiamenti?

«Sì, sono sempre dello stesso parere, non ce la farà. E lo affermo anche se io di carattere sono strutturalmente ottimista, ma essere ottimisti non significa non prendere atto delle cose. E cioè che alle speranze suscitate non darà compimento per la struttura in cui opera, per fatica sua, per tanti altri motivi. Mi limito a constatare che nulla è stato fatto e si fa al di là di qualche gesto profetico, oltre alle belle parole non succede nulla. Alle profezie devono seguire i fatti, è verso l’agire che bisogna andare. Papa Giovanni XXIII ha fatto un’enciclica che ha apportato grandissimi cambiamenti, ora è tutto fermo. Si pensi al diaconato femminile che nonostante le parole ancora non c’è».

Oggi si grida alle libertà negate, non è che siamo noi i primi a non avere ben chiaro di cosa parliamo?

«Non esiste libertà vera senza responsabilità. Primariamente non è un fatto sociale ma spirituale. Chi è libero genera libertà, le persone libere sono liberanti per gli altri».

Vuol dire che il primo passo verso la libertà è arrivare alla consapevolezza del se?

«Sì, io credo alla libertà. E il primo decisivo ingrediente della nostra libertà è la consapevolezza di ciò che siamo, il secondo è la creatività, il terzo fare i conti con la responsabilità. La libertà umana nella società deve fare i conti con le libertà altrui, lo impariamo fin da piccoli, in famiglia, a scuola, nel traffico. E sono le stesse libertà che stanno dietro le regole. C’è un concerto di note che si chiama società. Penso al film “Prova d’orchestra” di Fellini dove ogni strumentista va per conto suo e l’orchestra non accordandosi non dà vita ad alcun concerto. Occorre fare i conti con la libertà altrui ed è lì che nasce la musica, l’armonia, il senso».

Ciò che ci circonda racconta che stiamo perdendo il senso di appartenenza all’universo. Lo recupereremo?

«Ci proveremo. Sono ottimista perché sta avanzando un cammino di riconversione e interrogazione. Non sono poche le persone che capiscono che esiste un rapporto col pianeta e si adoperano nel termine più vero di percorso esistenziale e atteggiamento politico».

Significa che c’è un cambiamento nel nostro sguardo?

«C’è crisi di religione ma c’è una domanda alta di spiritualità, c’è la consapevolezza di un senso alto della vita. In America ha molti adesioni il movimento Yolo sulla spinta di: tu vivi solo una volta. E queste non sono le uniche persone che sentono la necessità di un ritorno in se stessi. È un bisogno di senso dettato non solo da paura ma anche da desiderio di raccoglimento, riflessione; significa che c’è attenzione alla dimensione contemplativa».

Lei cita una frase di Bobbio ripresa da Martini: “La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede ma tra chi pensa e chi non pensa”. Quale suggerimento può dare per metterla in pratica?

«Non c’è un suggerimento. È come praticarla quello che conta. Più di quello che dici è importante il metodo con cui ci si dispone di fronte alla vita. Lo sguardo è saggio nella misura in cui vede le ombre ma vede anche le luci. I problemi esistono ma bisogna vedere oltre e ci sono persone che coi loro pensieri possono avere un contagio positivo, incuriosiscono, aiutano a mettersi in discussione».

Quindi torniamo alla condizione preliminare della libertà?

«Si impegna chi è attratto da una libertà di fondo. Conta non professare una dottrina, ma imparare ad ascoltare, parlare, discutere, capire, importante è pensare e non restare legati alle nostre idee».

Info: 327 1192652

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