Il tango? Un ballo "indecente, osceno e incentivo al vizio"

Archivio

All’inizio del 1914 esplode sulla stampa nazionale ed estera una grottesca campagna d’opinione contro il tango, da molti definito «il culto della voluttà». Il ballo, di origine popolare con ascendenze africane, proviene dall’America Latina. Dai sobborghi di Buenos Aires, dove si è sviluppato a macchia d’olio, giunge in Europa nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Qui, ingentilito nelle movenze, si impone negli anni Dieci come la più diffusa danza da sala. Molti, però, lo evitano. I saggi – coloro che pensano di avere la testa sulle spalle – lo detestano; le gerarchie ecclesiastiche lo condannano; Vittorio Emanuele III lo bandisce dalle feste di gala e Guglielmo II lo vieta ai suoi ufficiali.

Anche a Rimini il tango, argomento del giorno, crea imbarazzanti discussioni. Il settimanale cattolico L’Ausa lo considera una sorta di peste del Ventesimo secolo. Il 17 gennaio 1914 discettando sul «nuovo ritmo infernale» il periodico ne fa una questione morale: lo giudica indecente, osceno, un vero e proprio «incentivo al vizio», adatto solo alle «femmine da trivio». Pure il Corriere riminese manifesta contrarietà nei confronti del ballo, ma unicamente per una questione di buon gusto. Della danza il giornale, laico e liberale, rifiuta gli «abbracciamenti non sempre misurati, i contatti e le licenze non sempre compatibili con la suscettibilità delle persone benpensanti» e quell’insieme di movenze disordinate, che hanno la prerogativa di «affaticare le dame e di scomporre e deturpare le toilette». «Questo ballo – sostiene il Corriere riminese il 28 gennaio 1914 –, che ha saputo, non si sa come, imporsi trae le sue origini dall’ambiente più osceno, più lontano e più trascurabile che si possa supporre: proviene da una terra in cui il buon gusto e l’eleganza non possono trovare recesso».

In questa baraonda di opinioni c’è persino chi insinua che «il tango nuoce alla conservazione della giovinezza»! Proprio così. «Un giornale parigino – riferisce il Corriere Riminese – sostiene che l’eccesso di attenzione richiesto dai complicatissimi movimenti della danza suddetta faccia apparire sul volto delle rughe assai evidenti che, a lungo andare, permangono». Sulla base anche di queste idiozie, la stessa testata il 18 febbraio 1914 riferisce che al Gran Ballo della Croce Verde «si è ballato con insolito entrain un po’ di tutto; meno il tango … peccaminoso che non ha ancora fatto (purtroppo) capolino in nessuna delle nostre riunioni eleganti». Quel “purtroppo”, segregato tra due parentesi, ci permette di capire o di ipotizzare tante cose.

Ma oltre alle «riunioni eleganti» ci sono anche quelle popolari e qui il ritmo argentino, nonostante le subdole considerazioni versate nei suoi confronti, dilaga e furoreggia. D’estate, poi, questa straripante ondata di tangomania, che nessuno riesce a frenare, contagia anche i più raffinati ritrovi serali: dal Kursaal al Grand Hotel, dal Regina al Villa Isotta. Perfino la moda si adegua al nuovo ballo. L’abbigliamento femminile, infatti, diviene provocante, addirittura «licenzioso» per il periodico cattolico; non ci sono più i busti, i copribusti e le forme a clessidra: il seno rientra, il “didietro” diminuisce e il ventre, in nome della conquistata libertà, può muoversi a suo piacimento. La silhouette della donna si allunga e la sottana, stretta, sale alla caviglia e si apre con uno “spacco” che giunge al ginocchio: un accorgimento che rende più agevole il passo figurato del tango.

Tenace oppositore dei «cadenzati deliqui» della nuova danza è Filippo Tommaso Marinetti. I suoi esplosivi anatemi contro «l’imbecillità della moda», che spinge tutta la «corrente pecorile dello snobismo» verso gli «abbracciamenti smodati» del tango, fanno tremare «la borghesia incipriata e imbellettata» che trascorre l’estate sul lido.

Marinetti, salito ai vertici della notorietà da quando nel 1909 su Le figaro ha pubblicato il primo manifesto programmatico del Futurismo, è un assiduo frequentatore della spiaggia di Rimini. Ospite fisso del salotto di Elena Bianchini Cappelli, collabora con i periodici locali e più volte si trova al centro di iniziative culturali e artistiche. Le cronache riminesi si occupano spesso di lui, dei suoi agganci con gli ambienti dell’avanguardia francese e soprattutto del suo pensiero precorritore di nuove concezioni culturali: la rivolta contro il passato e l’esaltazione della vitalità in tutte le sue forme. Sul tango Marinetti non smentisce la stravaganza delle sue teorie. La sua crociata contro le «convulsioni isteriche» del famigerato ballo non parte da presupposti morali e non è una faccenda di stile o di invecchiamento precoce. L’innovatore, che predica la libertà della parola, il rifiuto delle regole, l’abolizione della sintassi, si preoccupa di tutelare nientemeno che la «virilità» della razza umana. E il 12 luglio 1914, «in nome della salute, della forza, della volontà e della virilità», lancia dal Gazzettino Azzurro il suo urlo – un po’ stridulo per la verità – di «Abbasso il tango!». Una parola d’ordine questa che arriva pochi giorni prima dell’inizio di un’altra ben più grave «ondata di pazzia»: il grande conflitto europeo.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui