Il suo ingresso in piattaforma era accolto da applausi

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«Un’impressione su Rimini? Meravigliosa: un azzurro intenso di cielo e mare, una spiaggia dolcissima, un ritrovo di raffinate eleganze mondane e di bellezze femminili. Rimini è certamente il ritrovo estivo più attraente e incantevole. Lo si lascia con rimpianto, ci si ritorna con entusiasmo». Il flash sulla città, tratto da Il Gazzettino Verde del 17 agosto 1906, porta la firma di Lyda Borelli (1887-1959), diciannove anni, attrice della compagnia di Virgilio Talli (1858-1928), in tournée all’Arena al Lido dal primo al 15 agosto. Nel repertorio dell’équipe teatrale, che annovera i bravi Enrico (1851-1929) ed Edvige Reinach (1869-1918), spiccano titoli di commedie drammatiche e comiche: “La trovata del brasiliano”, “L’albergo dei poveri”, “Florette e Patapon”, “Il romanzo di un giovane povero” e “Il mondo della noia”. Un cartellone decisamente appetitoso per stanziali e villeggianti. Coccolata dai riminesi, la Borelli tutte le sere è «oggetto dell’ammirazione del pubblico». Sebbene ancora piuttosto acerba nel fisico e nella recitazione, Lyda – che nel 1913 diventerà la diva per eccellenza del cinema muto, incarnando negli atteggiamenti l’espressione più significativa del romanticismo estetizzante e crepuscolare – porta già dentro di sé una grande carica di sensualità. I giornalisti la notano e quando scrivono di lei anticipano nella prosa quel preziosismo dannunziano che invaderà il cinematografo dei primi anni Dieci e che proprio dalla teatralità della Borelli – gesti languidi, silenzi statuari, sguardi di fuoco – prenderà il nome di “borellismo”. Un esempio? Ecco come viene descritta la giovane speranza della scena italiana da Il Gazzettino Verde del 12 agosto 1906: «La tenue persona vibrante come giunco e fine come un petalo di rosa; gli occhi belli da cui sprigionano lampi di desiderio e fremiti d’ira; la fronte serena incorniciata da un casco meraviglioso di aurei capelli; la voce dolce e melodiosa, uscente da un’adorabile bocca, che ha tutte le inflessioni della passione». E poi, in ordine sparso, gli aggettivi e le metafore che la riguardano: eterea, sensibile, pallida, gemma fulgente, fiore fragrante, bellissima fra le bellissime. C’è veramente di che montarsi la testa! E Lyda, che non disdegna l’ammirazione e il corteggiamento comincia proprio a Rimini, fuori dalla scena, ad entrare nella parte della donna fatale e sofisticata. La mattina, dopo le ovazioni serali dell’Arena, va incontro all’applauso della Piattaforma. Il luogo è il centro elegante della “bagnatura”, meta d’obbligo giornaliera per chi vuole mantenere o allacciare le giuste relazioni sociali. Dalle 10 alle 11 in quella leggiadra isola sul mare si ascolta il concertino del maestro Edoardo Sarti, il “mago del violino”. Seduti all’ombra dell’imponente “pagoda cinese” il silenzio è doveroso; solo al termine del programma musicale il bel mondo riprende a conversare e il chiacchiericcio che fluisce su quel mitico tavolato fa da sottofondo alla «mirabile esposizione estetica» della moda femminile. In questo delizioso salotto Lyda Borelli fa la sua passerella mattutina. Il suo ingresso, volutamente tardivo, è accolto da applausi, inchini e scappellature ed ha persino il potere di interrompere il concertino. Unica “diva” che sia riuscita a tanto, raccontano le cronache balneari. Figlia d'arte e sorella di Alda (1879-1964), anch’essa attrice di teatro, Lyda Borelli dopo aver lasciato Virgilio Talli, diviene prima attrice con Ruggero Ruggeri (1871-1953) e nel 1912 ha una propria compagnia. Un percorso artistico privilegiato, il suo, che le consente di recitare con le personalità più ammirate del palcoscenico da Eleonora Duse a Irma Gramatica, da Oreste Calabresi a Ermete Novelli. Nel 1913 Lyda lascia il teatro per il cinema. Il suo primo film, Ma l’amore mio non muore, di Mario Caserini, le spalanca le porte del grande successo. Seguono altre tredici pellicole tra le quali: La memoria dell'altro (1913), La donna nuda (1914), Marcia nuziale (1915), La falena (1916), Madame Tallien (1916), Malombra (1917), Rapsodia satanica (1917) e La leggenda di Santa Barbara (1918). Tutti film che raffigurano l’attrice nell'ideale della femminilità liberty e dannunziana, enfatizzata da una ricercata gestualità lirica. Nel 1918 Lyda Borelli sposa l’industriale Vittorio Cini (1885-1977) e si ritira a vita privata. Sembra che il marito, molto geloso della moglie e del suo passato, abbia tentato di comprare tutti i suoi film per farli sparire dalla circolazione.

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