Il quadrunviro e la biondona dai capelli alla maschietta

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Tra le maggiori manifestazioni mondane dell’estate del Ventennio spicca il Gran Ballo della Stampa. Signorilità, distinzione ed eleganza sono le prerogative di questo superbo avvenimento organizzato dal Sindacato regionale dei giornalisti emiliani. L’esclusiva soirée si svolge nelle sale e nelle terrazze del Kursaal e vi partecipa tutta la Rimini-bene insieme con il bel mondo in vacanza sulla riviera adriatica. Le danze proseguono ininterrotte fino alle prime luci dell’alba. Gli annali di questo classico galà registrano la presenza di alte personalità del regime e abbondano di curiosi aneddoti. Tra questi merita di essere ricordato quello che riguarda Italo Balbo. Pubblicizzato da una simpatica cartolina disegnata da Giulio Cumo, che immortala l’ingresso di una coppia sulla gradinata del Kursaal – lui in nero con sparato bianco e tuba, lei sinuosamente fasciata da un abito di lamé e mantello –, il Gran Ballo della Stampa del 10 agosto 1925 si distingue per la sfarzosità delle toilette femminili. I cronisti parlano di veri e propri «capolavori della moda». Tanti gioielli, ma anche tanta chincaglieria à la page sui decolletés delle signore. Per le acconciature all’ultimo grido gareggiano le nobildonne riminesi Spina e Battaglini, la forlivese Matteucci e la ferrarese Aventi. Nell’abbigliamento maschile domina la scena il cerimonioso smoking, indossato con nonchalance da tanti giovani rampolli della Rimini che conta. Non mancano le sbavatura littorie: camicie nere, cinturoni e sgargianti onorificenze sul petto. La nuova “mise” di regime tuttavia non surclassa l’abito da sera. Quattro orchestre, «annidate tra ciuffi di palme e festoni fioriti», consentono di ballare ovunque e senza interruzione. Nei due piani dell’edificio e sulle terrazze è un turbinio di gente allegra e scalpitante. Ogni sala ha la sua “regina”. Maria Renzi si pavoneggia nei quartieri alti; Tatiana Pavlova, quantunque giunta in ritardo, non ha rivali al piano terra. Le note di Giovinezza e i rumorosi alalà sottolineano l’entrata in sala dei più blasonati ras del momento. Luci, addobbi, lustrini e champagne a profusione. «Alle due – pettegolano i notiziari – i tavoli del ristorante vengono assaltati»; alle tre arrivano i cotillons. Tra i presenti, tutti d’eccezione, insieme con lo stato maggiore del fascio cittadino, ci sono l’onorevole Innocenzo Cappa, il commendatore Arnaldo Mussolini e, impacciatissimo nella versione mondana, Italo Balbo. Le attenzioni, naturalmente, sono per quest’ultimo: è lui la stella che illumina la serata. Il quadrunviro è sulla cresta dell’onda; la sua brillante carriera ne fa un personaggio di primissimo piano in campo nazionale. Nato il 5 giugno 1896 a Quartesana, un paesino della Bassa a una decina di chilometri da Ferrara, Balbo si mette in luce durante la guerra del Quindici. Ufficiale degli alpini, si guadagna due medaglie d’argento e un encomio solenne per atti di valore. Nel ’20, appena congedato, è attratto dai fasci di combattimento: indossa la camicia nera e in pochi mesi – grazie alla sua esperienza militare, alle capacità organizzative e al carisma di uomo d’azione – diviene il capo di tutto lo squadrismo fascista dell’Emilia e della Romagna. Nell’ottobre del ’22 guida la marcia su Roma affiancato dai quadrunviri Bianchi, De Bono e De Vecchi. All’inizio del ’23 è al vertice di tutto il movimento mussoliniano in qualità di comandante generale della milizia. Nel ’25, all’epoca del Gran Ballo della Stampa, è sottosegretario di stato all’Economia nazionale. Attorniato da nugoli di persone ossequiose, «l’indomito guerriero» tenta disperatamente di sottrarsi agli assalti delle dame petulanti che lo spingono verso la pista: tutte vorrebbero ballare con lui. I rifiuti si susseguono, ma svicolare da certi sguardi ammiccanti è un’impresa impossibile. Alla fine, seppure controvoglia, superando la propria “riluttanza”, Balbo è costretto ad arrendersi alle lusinghe di una procace biondona dai capelli alla maschietta e dall’accento bolognese e si scatena al ritmo di un fox-trot. L’avvenimento fa scalpore. Andrea Sperelli su Il Popolo di Romagna del 16 agosto 1925, riferendo la cronaca della serata, cerca di giustificare l’imbarazzo dell’uomo d’azione per la poca dimestichezza con gli strisciamenti sincopati. «Italo Balbo – scrive – che forse per la prima volta si trova in una festa di ballo, è ripetutamente invitato a prendere parte alle danze. Ma si schernisce e dice ridendo che non ha mai imparato a ballare, ma neppure credeva di doversi trovare in condizioni ... di ballare». Senza dubbio l’artefice della efficiente struttura paramilitare fascista non aveva fatto i conti con la joie du vivre della riviera adriatica e soprattutto con la magica atmosfera del Gran Ballo della Stampa. Dopo Rimini questo disinvolto capitano di ventura, amante delle guasconate, ma anche intelligente e coraggioso come pochi, volerà in alto: diventerà la figura più eminente dell’Arma azzurra, sarà l’eroico trasvolatore dell’Atlantico, il fondatore dell’aeronautica militare moderna. Sembra addirittura che Mussolini, invidioso dei suoi leggendari primati, lo abbia “premiato” con la nomina a Maresciallo dell’Aria esiliandolo al sole della Quarta sponda. Ma anche là, in Libia, il governatore Italo Balbo avrà modo di far parlare di sé dando inizio a una serie di grandiosi e innovativi progetti urbanistici. Morirà il 28 giugno 1940, in un “incidente” aereo sul cielo di Tobruk, diciotto giorni dopo lo scoppio di quella guerra che aveva cercato di evitare con ogni mezzo.

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