Il procuratore: "Virus: molti esposti, ma ce ne aspettiamo altri"

RAVENNA. L’impatto che l’emergenza sanitaria ha avuto sulla giustizia non è destinato a sfumare rapidamente e coinvolge più fronti. Fra questi, uno riguarda le denunce per malattie o decessi di persone risultate positive: «Ne sono pervenute in numero apprezzabile. La mia previsione è che ne arriveranno altre, e certamente questo ufficio le valuterà con attenzione». Parole del procuratore capo Alessandro Mancini, che trascorso un centinaio di giorni dall’inizio del lockdown traccia un primo bilancio del peso che la fase più critica dell’epidemia ha avuto su indagini, reati, e carichi di lavoro per la Procura della Repubblica.
Dottor Mancini, quali sono state le conseguenze del lockdown sui processi? Le tempistiche ne hanno risentito?
«I processi si stanno svolgendo secondo le cautele previste dalle linee guida stabilite dal presidente del tribunale, a cui noi abbiamo aderito: distanziamento sociale, mascherine, la fissazione delle udienze preliminari e in monocratico a orari distanziati, onde evitare assembramenti nella previsione che non si riesca a esaurire l’audizione dei testi nei tempi previsti. Non conosco ancora le stime complessive delle udienze saltate, ma l’esercizio dell’azione penale non si è fermato. Complessivamente sia il tribunale che la Procura hanno continuato le loro funzioni, nonostante le iniziali difficoltà».
Qualche timore per la positività accertata a un dipendente amministrativo a inizio emergenza?
«Fortunatamente le misure adottate hanno consentito che né in tribunale né in Procura si siano registrate altre situazioni di contagio. Gli uffici sono stati delocalizzati e l’apertura al pubblico ridotta, con accesso consentito a un massimo di 10 persone previa prenotazione per via telematica, mentre all’ingresso le guardie giurate hanno ricevuto l’incarico di consegnare a chi ha appuntamento un badge che consente l’accesso».
Trova che la riorganizzazione abbia giovato in qualche modo?
«Penso ai servizi offerti per via telematica, come la notificazione ex articolo 335 (il procedimento per sapere se una persona è sottoposta a indagini), che è una delle richieste più frequenti. Ma anche il deposito atti da parte della polizia giudiziaria, cioè la mole principale delle consegne, che è stato separato da quello dei privati cittadini, in modo da non creare assembramenti e rendere più agevoli tali procedure».
Aspetti positivi che potranno essere conservati?
«Me lo auguro. Tutto quello che la tecnologia ha consentito in termini di smartworking e videoconferenze, dovendosi escludere udienze e atti istruttori particolari, confido che rimanga. Questa emergenza sanitaria ha rivelato l’importanza degli strumenti telematici: meno spese, meno passaggi di comunicazione».
Bocciate le udienze “telematiche”?
«Durante il lockdown le direttissime in video conferenza sono state pochissime, ed erano soprattutto arresti facoltativi. Le udienze per me presuppongono la presenza fisica di tutti, fatta eccezione naturalmente di casi particolari, come per esempio per i detenuti geograficamente lontani».
Con gli spostamenti limitati e le restrizioni disposte dalla Regione le indagini in corso ne hanno risentito?
«Non particolarmente. Quelle più urgenti sono proseguite nei limiti del possibile, con le dovute precauzioni, in alcuni casi sfruttando le videoconferenze. Quelle meno impellenti sono state svolte con più calma».
E i reati? C’è stato un calo o una particolare tipologia di illeciti?
«Un calo della criminalità c’è stato, ma non così elevato. Nemmeno riguardo i casi di maltrattamenti legati alla convivenza coattiva abbiamo registrato un particolare incremento. Certo, l’impatto sui controlli alla circolazione ha sortito un effetto deterrente per le cosiddette trasferte per commettere delitti. Sono state diverse centinaia invece le denunce in base all’articolo 650 del codice penale, poi depenalizzato».
Se così non fosse stato?
«Ci sarebbero stati diversi dubbi sulla fattispecie di reato. Ora quegli atti sono stati trasmessi alla Prefettura».
Fronte più delicato quello dei focolai nelle case di riposo. A quanto risulta, ci sono stati esposti alla Procura…
«Sono pervenute denunce in numero apprezzabile, e prevedo che ne arriveranno altre. Noi tratteremo con estrema cautela e prudenza ogni singolo esposto. La materia è particolarmente complessa e delicata, e merita una valutazione attenta. Se ci saranno fatti da approfondire e meritevoli di essere perseguiti lo faremo. Saranno da valutare le caratteristiche del luogo di contrazione della malattia, ed eventualmente le responsabilità del datore di lavoro».
Un altro “effetto collaterale” dell’epidemia potrebbe riguardare le infiltrazioni mafiose. Esiste il rischio che la morsa di usura e riciclaggio arrivi anche da noi?
«Al momento non ci risulta. Ma questa crisi potrebbe avere favorito o favorire in futuro le organizzazioni criminali. Siamo solo alla fase due, ed è in pieno svolgimento. Come detto dal procuratore nazionale antimafia, è prevedibile che la criminalità organizzata farà la sua parte».
Un pronostico sui prossimi mesi? Quale sarà lo scenario a settembre?
«Non sono un virologo, mi attengo alle previsioni più comuni che ritengono che virus si stia indebolendo. Ma dovremo attrezzarci per una sua eventuale recrudescenza. Noi siamo già preparati e anche le strutture sanitarie sono state dimensionate all’entità del fenomeno. Confido che nel caso saremo pronti».

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