Ravenna, il pm chiede l'ergastolo per l'assassino di Elisa

RAVENNA. «Riccardo Pondi non è un mostro. È un uomo banale, un uomo ordinario che ha dato spazio alla parte primitiva di se stesso. Ha tirato fuori la bestia che era in lui, come fanno gli uomini in Italia ogni tre giorni». La forza delle parole del sostituto procuratore Lucrezia Ciriello vuole spazzare via eventuali dubbi fra i giudici della Corte: la morte di Elisa Bravi non trova risposte nella follia. Le ha nell’ «azione cruenta, efferata, convinta, persistente» di un uomo, suo marito, «che voleva ucciderla a tutti i costi», dominato dal «desiderio di controllo» e armato «dalla rabbia» di non riuscirci. Ergastolo senza alcuna attenuante. Questa la richiesta del pm dopo due ore e mezza di requisitoria durante la quale ha ripercorso la crisi di coppia culminata nella drammatica notte tra il 18 e il 19 dicembre 2019, quando il 40enne ha stretto le mani al collo della moglie, 31 anni appena, strozzandola in camera da letto a Glorie di Bagnacavallo. «È il minimo - ha aggiunto il magistrato - di fronte alla condanna a morte che Pondi ha inflitto alla moglie, e a quella a vita inflitta alle sue bambine e ai nonni».

Il «pensiero sbagliato» di Pondi

L’inizio del declino di «una coppia normale» viene datato a settembre. Da un paio di anni la famiglia vive a Glorie. Elisa, «bella, energica, solare», è realizzata, ha un lavoro promettente alla Consar. Riccardo, «chiuso, timido e introverso», è stressato; ha iniziato il corso per entrare nei vigili del fuoco e ha paura di non riuscire a superarlo. È vedendo progredire l’autonomia della consorte che le sue insicurezze contaminano la fiducia verso di lei, mettendone in dubbio la fedeltà. Diventa pressante, geloso, e le sue insistenze aumentano quando Elisa, per proteggerlo, si fa più riservata. “Mi sta tradendo”, è la conclusione del 40enne, frutto - ancora le parole del pm - «non di un pensiero malato in senso patologico, ma di un pensiero sbagliato». L’idea dell’infedeltà deflagra il 29 ottobre, quando un’amica lo informa di avere visto la moglie a pranzo con il suo datore di lavoro. È quello l’evento che per il dottor Michele Sanza (incaricato dalla corte presieduta dal giudice Cecilia Calandra di effettuare una perizia psichiatrica) dà il via a una deriva senza ritorno.

L’avvelenamento

Quel declino sfocia nella giornata del 18 dicembre. Sono le 5 di mattina quando il 40enne si sveglia e cerca l’ennesimo confronto con la moglie, prima di partire per Bologna per l’addestramento. Lei ha sonno, ha davanti a sé una lunga giornata. Così lui parte infastidito, e durante il tragitto in autostrada avverte un malessere; un’auto lo supera e lui pensa di essere stato avvelenato con il monossido. È la convinzione che lo accompagna fino alla caserma, dove lo convincono ad andare al pronto soccorso. Quando Elisa lo raggiunge lo abbraccia; lui le chiede l’antidoto. Il perito e i consulenti delle parti civili concordano nel dire che non c’è delirio in quel comportamento. È solo un attacco di panico, affermano scontrandosi con la consulenza della difesa, sulla quale oggi punteranno forse i legali dell’imputato, gli avvocati Ermanno Cicognani e Francesco Manetti.

I racconti dell’imputato

Si arriva alla notte del delitto. “ Ci siamo presi con le mani”, aveva detto inizialmente il 40enne, parlando di un colpo ricevuto in testa con uno sgabello e di una contemporanea e reciproca azione violenta. Una versione poi corretta durante i colloqui in carcere. Dal bagno, Pondi si sarebbe avventato sulla moglie, stesa nel letto. Per ucciderla? “ Non lo so - avrebbe detto lui - non credo, penso volessi solo spaventarla, forse all’inizio l’ho presa per i capelli, sbatteva da tutte le parti”. Il motivo? “ Minacciava di farmi rinchiudere”. L’autopsia del medico legale Federica Bortolotti racconta nel dettaglio la dinamica dell’aggressione, ricostruita a partire da un «corpo costellato di lesività», fra morsi, graffi e segni dei tentativi di resistere alla fatale presa al collo. Tracce che consentono di stimare la durata dello strozzamento a oltre 5 minuti, «un tempo enorme» rimarca il pm, che non vede traccia di pentimento nell’imputato, semmai «dispiacere nella prospettiva di passare la vita in carcere». Sono le parole che anticipano la richiesta della pena massima, escludendo qualsiasi forma di infermità mentale, anche parziale. Quella notte «Pondi poteva tornare indietro una, dieci, cento volte». Ma non l’ha fatto, e per questo - secondo l’accusa - merita l’ergastolo, «non una pena esemplare, ma una pena giusta».

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