Il pluripremiato corto "Aria" di Barbara Sirotti: l'intervista

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Anche la voce di Luca Ward si è aggiunta alle collaborazioni che hanno dato vita ad “Aria” di Barbara Sirotti. Premiato in oltre 50 rassegne internazionali (da Madrid a Los Angeles a San Pietroburgo), lo short film “Aria” scritto, ideato e interpretato dall’attrice, doppiatrice, conduttrice televisiva riminese, con la regia di Brace Beltempo, è nato da una traumautica esperienza personale: la storia vera di una donna, il racconto di un evento realmente accaduto, purtroppo simile a tanti fatti di cronaca nei quali le donne pagano un prezzo altissimo. La cronaca, sottolinea l’autrice, di un amore violato, con la volontà di mettere tutto questo come elemento di riflessione a servizio della comunità.

«Durante questi due lunghissimi anni di lockdown e restrizioni gli spazi che sembravano essere più sicuri, come quelli della casa, in realtà spesso si sono trasformati in veri e propri luoghi di violenza, dai quali era difficile e a volte impossibile fuggire. Gli eventi di cronaca ne sono stati purtroppo un’amara conferma. Per questo ho creato “Aria”, un corto di soli 2’ e 59’’ che rappresenta ciò che per molte persone è stato un vero incubo: una violenza esercitata dalla persona che in quel momento è più vicina a te, da chi pensavi di conoscere, da chi aveva la tua fiducia quotidiana e costante. Oltre ad aver letteralmente visto la morte in faccia, mi sono sentita crollare il terreno da sotto i piedi, non avevo più punti di riferimento e mi sembrava di essere incastrata in una sorta di loop spazio-temporale creato da mille pensieri, incubi e paure. Ho intitolato il corto “Aria” perché era proprio la cosa più preziosa che mi mancava, sia in senso figurato sia in senso stretto: l’aggressore non mi faceva respirare».

E la collaborazione con Ward?

«Più recentemente è nata la preziosa collaborazione con un grande attore, oltre che voce famosissima, come Luca Ward. Sì è mostrato subito molto interessato, e oltre alla sua grande professionalità, la cosa che più mi ha sorpreso è stata la sua profonda sensibilità rispetto alla tematica della violenza contro le donne. È veramente confortante vedere come anche i personaggi di chiara fama si sentano coinvolti nel combattere in prima linea la violenza di genere».

Il simbolo quindi di una rinascita personale e artistica?

«Come attrice ho sentito la necessità di rappresentare tutto questo, come una sorta di denuncia artistica che ha aiutato me a superare il trauma e a quanto pare anche altre donne a trovare il coraggio di denunciare e ricostruirsi. In un anno il corto ha ottenuto più di 55 premi e riconoscimenti in Italia e all’estero, segno che questo argomento sta diventando ormai un’emergenza sociale. Ed è per questo che ho deciso di collaborare con la Cooperativa “Sophia” fondata dall’avvocato penalista Alessandro Numini. Una realtà unica nel suo genere, perché dietro al numero verde 800-047733 c’è un team di professionisti: avvocati, psicologi, commercialisti, allenatori sportivi che insieme offrono un supporto concreto e diversificato per permettere alla vittima di “rimettersi in piedi” e ritrovare la propria identità».

Come sono cambiate secondo lei le relazioni intime durante il lockdown?

«Prima dell’arrivo del Covid si diceva spesso che nelle relazioni mancava il tempo per capirsi. Poi invece le giornate si sono allungate a dismisura, quasi non sapevamo come farle passare ed è diventato difficile gestire gli spazi comuni. Tutto ciò ha ribaltato le nostre convinzioni: non ci mancava più il tempo, ma lo spazio personale. Non c’era più la frenesia del quotidiano, mancava proprio la condivisione del “qui e ora”, le coppie si sono ritrovate improvvisamente a capire di aver forse ben poco in comune, se non impegni esterni, attività e distrazioni. E probabilmente anziché “uscirne migliori”, siamo affondati nella mancanza di rispetto, nella prevaricazione e nell’assenza di ascolto profondo dell’altro e delle sue esigenze».

«Finché c'è una vittima ci sarà sempre un carnefice». È la coraggiosa caduta della propria “maschera di vittima”, lei sottolinea, che può rappresentare una via d’uscita alla violenza.

«Questa è una frase alla quale sono arrivata con enorme fatica dopo mesi di terapia e riflessione. È fondamentale uscire dal “ruolo di vittima”, proprio per non cadere nella trappola della rinuncia e dell’autocommiserazione. E ripartire invece da sé stessi, dalle proprie risorse, dalla propria autostima ridotta a brandelli, rialzandosi con coraggio e ricostruendo la propria vita da capo, piano piano. Ecco perché è importantissimo l’aiuto di psicoterapeuti, ma anche di avvocati, allenatori sportivi, come nella Cooperativa Sophia. Il vittimismo è il regalo amaro che il carnefice lascia alla propria vittima».

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