Il nuovo "Superpop" viene da Faenza e Bologna

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Gli anni 70 e la musica da camera. Il barocco e il neoclassicismo. I Beatles, ma anche la disco music. Senza tralasciare l’“Inno alla gioia”, introduzione all’album, di BaBeethoven. Il tutto condito da manciate di puro pop. Con un pizzico di kitsch. E poi l’amore, il sesso, l’ironia talvolta sfrontata, talvolta sottile. Sono questi gli ingredienti di “Superpop” , ep d’esordio del tastierista e compositore bolognese Alberto Bazzoli e del compositore faentino Gianni D’Amato per la label Interstellar Production. L’ep contiene due singoli, “Love me” e “Monaco” incorniciati da un’inedita intro e da una coda cameristica. Una ricetta musicale sui generis, controcorrente, che mixa classicità e sonorità elettriche. In un caleidoscopio di suoni, colori e “mood” molto diversi tra loro, ma perfettamente in simbiosi gli uni con gli altri.

Come è nato questo mix così variegato?

«Abbiamo attinto a pieni mani dal nostro bagaglio culturale e musicale e canalizzato il tutto in un’azione creativa – spiega Alberto Bazzoli –. Sono chiare le nostre radici più profonde, gli anni 70. La nostra volontà era di fare musica originale e creare allo stesso tempo anche un immaginario inedito».

Musicalmente parlando è difficile distinguersi dal già detto e già sentito?

«È molto difficile essere originali. Viviamo in un’epoca in cui tutto è possibile e possiamo accedere facilmente a tantissime cose, ci troviamo di fronte a un mare di possibilità. Da una parte è positivo per la crescita e la conoscenza personale di ciascuno di noi, dall’altra però c’è sempre il rischio di ripercorrere il solco di quello che è già stato fatto. L’importante è capire che i temi dell’arte sono più o meno sempre gli stessi, l’amore i sentimenti ecc… È il modo in cui li racconti che può fare davvero la differenza».

Voi avete scelto di raccontare la vostra musica attraverso le immagini.

«Abbiamo deciso di presentare questo ep come un cortometraggio, a ogni momento musicale è stato affiancato un momento video per esprimere al meglio il calderone in cui ci stiamo aggirando in questo momento. Anche sui social abbiamo scelto un approccio comunicativo un po’ più di impatto».

Nella molteplicità di “colori” è comunque un filo rosso in “Superpop”?

«Credo che il filo rosso sia soprattutto musicale. A fare da sottofondo ci sono gli anni 70 e la musica classica, solitamente un po’ trascurata dal pop, dall’indie e dalla musica moderna. Mentre ci sono riferimenti a cui siamo legati e che anche inconsciamente abbiamo assorbito. Il quartetto d’archi che suona dal vivo è qualcosa che ci appartiene, meglio se mixato con sonorità elettriche. È raro sentirlo in un disco, quel tipo di suono di solito si crea al computer. Per questo lavoro poi abbiamo coinvolto una cantante lirica. Con l’intento di comunicare la classicità miscelata con il moderno. È un concetto molto semplice, ma a livello musicale non siamo abituati a questo».

Avete quindi un background musicale classico?

«Abbiamo molto interesse per la musica classica, pur avendola ascoltata poco. Personalmente ho un percorso musicale tradizionale. Ho studiato al conservatorio ma mi sono sempre dedicato alle sonorità moderne. Ci stiamo approcciando adesso a questo genere».

L’ironia è un altro elemento fondamentale del vostro esordio discografico. Essere ironici è anche un modo per affrontare questo particolare periodo?

«Di ironia, nella vita, ce ne vuole sempre. È la dote delle persone che sanno pensare e si fanno domande. Prendersi sul serio va bene, ma anche no. E la musica non deve essere esente da questo tipo di approccio».

Che cosa vi aspetta adesso?

«I primi due capitoli di questo nostro percorso sono dedicati all’amore e al sentimento. Usciremo alla vigilia di Natale con un nuovo singolo e un nuovo video, questa volta dedicati al tema musicale del sacro. Una sorta di Jesus Christ Superstar».

Quindi il periodo di chiusura forzata è stato anche produttivo, pur se limitante per chi come voi fa musica?

«Il periodo di chiusura è stato positivo per quel che riguarda la produzione di materiale nuovo. Abbiamo avuto molto tempo per fare le cose e farle bene. Spesso tra concerti, interviste e quant’altro il tempo per curare anche i più piccoli dettagli manca. Però è ovvio, la vera essenza della musica è l’essere condivisa con le persone. È vero che ci sono i social, ma vedersi e viversi dal vivo per un concerto è tutta un’altra cosa. Speriamo di poter tornare presto alla dimensione live, che è quello che ci manca di più».

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