Il nuovo menù di Gorini che seduce coi colori e spalanca le papille

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Un cuoco genera nuove memorie coi suoi piatti. Basta fare una prova: andare a pranzo o a cena in un luogo, magari desiderato, e dopo fare il conto di quanti piatti si ricordano, all’impronta, senza doverci riflettere. Esperienze che restano nella memoria, questi sono i piatti di Gianluca Gorini, ed è difficile davvero dimenticarne qualcuno, anche su un menù da dieci portate. Nella nuova carta di Gianluca Gorini ci sono le certezze e le novità generate dai viaggi recenti “intorno a casa” e dalle conoscenze maturate durante il tempo del lockdown che il cuoco ha definito prezioso. Il locale riapre quindi con dieci tavoli, «per rimettersi in moto», con la prospettiva di aprire all’aperto da luglio, con la via Verdi chiusa ad hoc per tutta l’estate. Ancora una volta tre i menù: “La vostra mano libera” con tutta la carta (5 antipasti, 5 primi fra paste, minestre e risotti, 5 pietanze e 5 dolci) a disposizione. «A me piace che il cliente possa scegliere, se poi mi vuole accordare la sua fiducia e lascia fare a me mi fa piacere, ma prima di tutto voglio che sia libero» , dice lo chef. Ad affidarsi a lui si può incorrere quindi nel menù “Passo dopo passo”, con sette portate che rappresentano la storia della cucina sua e del locale.

Quali? Il pomodoro alla brace, acqua di pomodoro e pesto di erbe tostate che ha esordito l’anno scorso ed è già un classico, i cappelletti ripieni di cacciagione , vermut bianco, pesca e fiori di sambuco, ovviamente l’impareggiabile piccione alla brace, estratto di alloro e cipolla al cartoccio e fra i dessert il fucsia: rabarbaro al gin, crema di mandorle armelline e sorbetto di lamponi, o il semifreddo al raviggiolo, amarene sciroppate, croccante alle noci e vermut rosso. Poi c’è il percorso totale “Sensazioni e suggestioni”, nove piatti, la scelta messa completamente nelle mani dello chef. Qui entrano solo due, massimo tre, piatti di quelli in carta, ad esempio l’inebriante risotto al finocchio, estratto di camomilla e pasta limone, o l’agnello cotto sui carboni, miso d’orzo, aglio dolce, timo e contorni all’italiana. Il resto sono sorprese.
«Il nuovo menù rappresenta quelle certezze che contraddistinguono la nostra cucina con il nuovo generato dai nostri viaggi e dalle prove che ne sono scaturite», dice lo chef. E ne sono nate delle belle, intorno a quell’idea di giocare con amaro e acidità che è il tratto distintivo della sua cucina. A cominciare dall’entrata: una “minestra di frutta e verdure”, tutte rosse, in un “brodo” che è un estratto di susine e verbena. «Voglio dimostrare che tutto quello che conosciamo può essere visto e riletto in chiave nuova, e allora comincio da una …macedonia». Fragole, susine, ciliegie, cocomero lavorato con una tecnica che usa il freddo per mutarne completamente la consistenza, e poi cavolo, ravanello, scalogno, rabarbaro, ogni ingrediente marinato o lavorato a sé, solo i lamponi sono crudi, e la bottarga, a scaglie sopra. Un piatto che spalanca le papille e apre alla voglia di partire per un viaggio vero e proprio. Per scoprire ad esempio la leggera grassezza dei gamberi rosa dell’Adriatico marinati, con lo stesso cocomero a coprirli come una tartare, insaporiti dai cristalli di bitter e dal dragoncello, un’erba che lo chef ama e che gli ricorda l’esperienza senese con il suo maestro Lo Priore. I cappelletti con la cacciagione all’interno e la composta di pesche acerbe tostate è un must, lo abbiamo detto, il tortello ripieno di fave e dei suoi bacelli verdissimi e profumati in un brodo chiaro di pecorino di fossa sorprende ed entusiasma, ed è ancora una volta una lettura diversa e nuova di qualcosa di noto. Arriva la trota, quella allevata in Casentino ed è un tripudio: carni saporite e delicate insieme, accompagnate dall’insolita insalata di melone e carote crudi, conditi con zenzero e aceto affumicato, i semi giapponesi e l’insalata, la croccantezza della pelle che la brace ha trasformato in qualcosa di perfetto.

«In questo menù ci sono tantissima frutta e verdura, ho messo tanti colori vivissimi, più del solito, forse inconsciamente avevo bisogno di vitalità». In effetti i colori di questi piatti sono accesi come non mai, oltre alla minestra in rosso iniziale, c’è il verde brillante del pesto al cipresso che insaporisce le lumache al forno condite con cicoria e acetosa, c’è il rosa della carne di agnello rimessa in carta e accompagnata da un contorno “all’italiana”. «Carni che ho trovato da un allevatore tra Basilicata e Puglia, perché va bene il chilometro zero, ma orgogliosamente dico anche che prima viene il chilometro buono. Questo produttore ha la mia età, ha preso in mano l’allevamento di famiglia, sa cosa ha per le mani e ha la capacità di capire cosa cerchiamo in cucina. Sono rimasto colpito dalla qualità e dalla cura che mette in quello che fa, ci manda agnelli capretti pecore e così in questi mesi ci siamo concentrati sulla frollatura di queste carni avviando una cella apposta, una zona per i tagli di pecora e agnello e una per la cacciagione. Oggi se trovo un fornitore che mi da possibilità di confrontarmi con lui sono disposto ad ascoltare e a lasciarmi trasportare. Mi voglio circondare di questa positività e di queste persone che mi generano emozioni perché lo stesso voglio fare io con chi assaggia i miei piatti». E questi piatti ci riescono, dal primo all’ultimo: il dessert che sposa una tartelletta al limone, una crema di caffè di cicoria e un gelato all’anice stellato con tutta la grazia e la capacità di generare sorpresa di cui questo chef è capace. LAURA GIORGI

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