"Il nostro Francis studia e lavora a Rimini: senza ius scholae la burocrazia è un incubo"

Francis (il nome è di fantasia per tutelarne l’identità vista la minore età) ha lasciato l’Africa quando aveva appena un anno, qui in Romagna è cresciuto, ha fatto le varie scuole dell’obbligo, ora frequenta l’Istituto Alberghiero e lavora in un ristorante durante l’estate. Dal 2017 vive in una famiglia affidataria che lo adora, gioca a calcio nella squadra del paese, è inserito e ben voluto. Francis si sente cittadino italiano a tutti gli effetti, ha anche la residenza, ma la coppia della Valmarecchia è costretta ogni anno a chiedere il rinnovo del suo permesso di soggiorno perché possa continuare a vivere qui. Una burocrazia continua e infinita che verrebbe finalmente “abolita” dallo Ius Scholae, il diritto di cittadinanza per meriti scolastici previsto in una proposta di legge al centro di accese discussioni in questi giorni in Parlamento.

La legge va in aula

Il testo della proposta presentata dal presidente della commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia prevede che possa avere la cittadinanza italiana il minore che abbia fatto ingresso nel nostro Paese entro il dodicesimo anno di età e abbia frequentato almeno cinque anni di scuola. Per questo Francis potrebbe goderne e con lui - ha stimato il Comune - altri 2.500 minori stranieri fra i 6 e i 18 anni.

Dal Senegal al ristorante

«Abbiamo parlato dello Ius Scholae proprio ieri sera a tavola e abbiamo chiesto cosa ne pensava di questa opportunità, dicendogli che se fosse stato nel caso interessato ci saremmo dati da fare per sostenere questa proposta. Lui è rimasto sorpreso e contento, perché ci tiene molto a essere italiano» spiega l’affidataria di Francis, raccontando: «È con noi dal 2017, il decimo bimbo che abbiamo preso in affido tanto che gli abbiamo fatto trovare al suo arrivo una maglia da calcio con il numero 10, mentre per gli altri mettevamo un fiocco azzurro alla finestra come per le nascite. È nato in Senegal, ma è qui in Italia da quando aveva un anno e della sua patria ha pochi ricordi e non troppo positivi. Ha fatto tutte le scuole qui e la famiglia aveva una certa stabilità che ora sta ritrovando. Fra l’altro ha una sorella che è nata in Italia e non troverebbe le sue penalizzazioni». La donna spiega quindi tutte le difficoltà che sono costretti ad affrontare i ragazzi come Francis. «Ogni anno dobbiamo rinnovare il suo permesso di soggiorno, ogni sei mesi fare lo stesso con tessera sanitaria e le esenzioni su certe spese mediche e non avendo ovviamente il passaporto (lo vorrebbe ma per farlo dovrebbe andare in Senegal o in un’ambasciata con entrambi i genitori) non possiamo fare viaggi all’estero e fargli vivere questa esperienza. Fra l’altro, lui gioca a calcio e lo sport è stato uno strumento di grande integrazione visto che è un ragazzino che si fa ben volere da tutte le famiglie degli amici, ma non potrebbe fare tornei fuori dall’Italia se tornassero a organizzarne dopo lo stop per il Covid». Quindi la chiosa affettuosa: «A 16 anni e mezzo è un vero esempio di integrazione, frequenta l’Alberghiero e sta facendo la stagione in un ristorante anche in questo caso grazie a una persona di grande disponibilità, fa sport di gruppo, è un ottimo ragazzo: la cittadinanza dovrebbe averla onoraria, di merito. In queste situazioni sarebbe semplicemente un riconoscimento necessario di quella che è già una realtà esistente. Ben venga quindi lo Ius Scholae per sanare queste situazioni e diventare uno stimolo in più per i ragazzi e per le famiglie che si fanno carico di loro».

“Sarebbe un aiuto enorme”

Maria Rosaria Russo è la referente del servizio affido della “Papa Giovanni XXIII”, oltre che mamma di una casa famiglia, una figura quindi a strettissimo contatto con situazioni come quelle di Francis. «Abbiamo una casa famiglia a Misano Adriatico, al nostro interno come in altre ci sono minori che arrivano, in maggioranza stranieri nati in Italia ma per cui tutti gli anni va attivato un permesso di soggiorno di 12 mesi fino alla maggiore età: anche per quelli che sono in affido con decreto di allontanamento dal nucleo familiare. Poi, a 18 anni bisogna dimostrare che i minori nati qui non siano mai usciti per uno o due anni per richiedere la cittadinanza. Attivare tutti gli anni queste procedure impegna non poco e ultimamente con il Covid i tempi si sono dilatati al punto che quando arrivava il permesso nuovo in pochi mesi era già scaduto: senza dimenticare che al permesso di soggiorno sono legati il tesserino sanitario e tutti i benefici sull’esonero delle spese mediche che decadono a loro volta anno per anno» spiega, passando quindi alla proposta di legge in discussione: «Oltre che giusta e doverosa aiuterebbe anche tutti gli enti e le istituzioni come la nostra ed eviterebbe rischi di espatrii o fughe andando a tutelare sia i ragazzi che le famiglie affidatarie che hanno i nostri stessi problemi a ottenere volta per volta ogni documentazione. Per carità, anche questa parte burocratica si fa e si fa volentieri per questi bambini, ma se fosse tutto più lineare... Ad esempio, se una famiglia affidataria volesse fare una vacanza all’estero dovrebbe chiedere tutta una serie di permessi, mentre un domani con lo Ius Scholae sarebbe più incentivata a fare vivere queste esperienze ai ragazzini».

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