Il mondo dipinto da Ivas, in 67 anni da San Mauro agli Stati Uniti

Dall’head quarter di San Mauro Pascoli, ogni anno partono ordini per verniciare più di trenta milioni di metri quadri di superficie. Dieci volte l’Italia, centimetro per centimetro dalle Alpi a Lampedusa. Isole comprese come recitava un noto spot televisivo. Tutto in una lunghissima tradizione di famiglia. Sì, perché il Gruppo Ivas, oggi ramificato in diversi angoli del globo, è figlio di una piccola impresa di verniciatori stradali nata nel 1953 e da allora ha sempre avuto per segno distintivo i Colonna. Di generazione in generazione. Dal fondatore Ferruccio all’attuale presidente Vincenzo, che ha appena “abbracciato” nell’aggiornato consiglio di amministrazione suo figlio Jacopo e quello del fratello recentemente scomparso, il 40enne Filippo. Ed è proprio il 62enne figlio del capostipite ad aprire idealmente le porte dell’universo Ivas. Partiamo da principio, dall’intuizione di suo padre Ferruccio. «Insieme ad alcuni soci faceva strisce spartitraffico, dipingeva strade con una società che si chiamava Esestra (Esecuzioni Stradali), poi nel 1953 fondò Ivas, acronimo che sta per Impresa verniciatori e affini sammaurese. L’azienda iniziò a produrre in proprio vernici e a venderle sul panorama nazionale e si strutturò ufficialmente come impresa nel 1971. Le due operazioni che hanno lasciato la nostra famiglia a condurre l’azienda in solitaria sono datate 1986 e 1989 e da allora siamo rimasti alla guida io e mio fratello Werther, che purtroppo è venuto a mancare a ottobre scorso dopo 43 anni di lavoro insieme con appena qualche discussione nella massima stima e assoluto rispetto. Abbiamo avuto un grandissimo affiatamento e ci piaceva dire che molte decisioni sono state prese sulle scale che portano all’ufficio, anche se poi i manager facevano la loro parte per concretizzarle. Ora sono al mio fianco nel cda i nostri figli».
Da quel 1953 sono trascorsi 67 anni e nel tempo Ivas è diventata leader in Italia e non solo. Come è strutturato oggi il gruppo?
«Il quartiere generale è sempre a San Mauro Pascoli, dove lavorano 150 persone, ma controlliamo una serie di centri di distribuzione in cui lavorano una trentina di persone e qualche società estera che porta il totale a circa 200 addetti: società quali Ivas Usa e Aliva UK e organizzazioni stabili in Spagna, Argentina, Svizzera e San Marino. Abbiamo oltre 150 punti vendita in tutta Italia e il Gruppo ha un fatturato aggregato di 44 milioni di euro fra Ivas, Aliva e i centri di distribuzione controllati. Cifra che sale a 54 inserendo anche le partecipate, che sono però società a se stanti guidate da altri amministratori. A San Mauro produciamo 16 milioni di chilogrammi di prodotto verniciante e circa 12 milioni di chilogrammi di prodotto in polvere che si traducono in oltre 30 milioni di metri quadri “coperti” annualmente con i nostri prodotti considerato che con un chilogrammo si lavorano di media due metri quadrati».
Quali sono i vostri mercati principali e quanto li ha frenati la pandemia da coronavirus?
«Le piazze in cui lavoriamo di più sono Inghilterra, Spagna e Stati Uniti. Ovviamente abbiamo sofferto moltissimo il lockdown, perché anche se il nostro codice merceologico ci consentiva di restare aperti il lavoro non c’era con tutti i cantieri chiusi e l’edilizia ferma al palo. Per fortuna siamo ripartiti discretamente, molto più velocemente all’estero, dove non ci si era mai fermati del tutto ad eccezione che in Spagna, e ci auguriamo che da Oltralpe arrivi una bella spinta per la ripresa. Per accompagnarla, abbiamo aumentato subito un turno di lavoro e, in accordo con i dipendenti, non faremo ferie in agosto».
Come si articola la vostra attività?
«L’attività principale di Ivas sono i rivestimenti per esterno e interno e l’azienda è leader in Italia per il sistema a cappotto. Aliva si occupa invece di facciate ventilate e, tanto per fare qualche esempio, ha ristrutturato il grattacielo di Cesenatico e la nuova torre scenica della Scala di Milano con un rivestimento esterno in marmo botticino quando una decina di anni fa l’architetto Botta ne progettò il restyling».
Cosa serve veramente perché l’economia possa rimettersi in moto?
«Da imprenditori non possiamo dirci molto aiutati dai nostri governi: c’è la tendenza a una gestioni da piccoli appezzamenti personali (in Romagna diremmo il mio orto) invece che guidata da una visione globale nazionale e internazionale. Questo nonostante si stia cercando di rimettersi in moto con grande voglia, fermento e spinta soprattutto al nord mentre al sud le cose stanno ripartendo con maggiore lentezza e lo vediamo dagli ordini e dalla riapertura dei cantieri. Sono però convinto che ce la faremo e ci rimetteremo in piedi ancora una volta: purtroppo bisogna ripartire ancora una volta ed è un peccato perché il 2019 in Italia era stato un anno più che decoroso dopo due lustri di grande fatica».
Quale è il sentiment nei confronti dell’Italia che cogliete all’estero?
«Le persone che lavorano con noi all’inizio quasi ci prendevano in giro chiedendoci cosa stava succedendo da noi e rispondevamo che se anche zone che lavorano bene avevano tali problemi c’era davvero da preoccuparsi. In poco tempo ci si è resi conto che il problema non era solo della Lombardia e dell’Emilia Romagna, ma di tutto il mondo e la solidarietà è stata unanime».
Un’ultima curiosità: la vostra famiglia è di Savignano ma Ivas è lo sponsor della Sammaurese, club calcisticamente rivale.
«Sponsorizziamo la squadra di calcio del paese che ci dà lavoro e come in ogni cosa come famiglia cerchiamo di fare la nostra parte per la gente del nostro territorio».

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