Il Cristo in pietà di Verucchio potrebbe essere di Pietro da Rimini

Grazie alla curiosità di Padre Federico e all’interessamento dei Frati francescani, assistiti dall’architetto Claudio Lazzarini, come pure all’attenzione del Comune di Verucchio, della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e del Rotary Club Rimini, nella chiesa di Santa Croce di Villa Verucchio è venuta alla luce una configurazione artistica affrescata, di origine trecentesca, di grande rilievo e ottima fattura.

Il fatto è ormai noto: dietro al coro ligneo della chiesa è stato scoperto, in maniera casuale, un antico affresco raffigurante un commovente Cristo in pietà. Ad un primo giudizio di alcuni studiosi, l’opera risalirebbe all’epoca trecentesca, e sta emergendo anche l’ipotesi che sia addirittura attribuibile a Pietro da Rimini, esponente della stagione pittorica del Trecento riminese, di cui in provincia si hanno poche tracce, come il tardo Crocifisso di Santarcangelo e due tavolette di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini esposte temporaneamente al Museo della Città. Scenari e ipotesi di notevole suggestione e naturalmente da studiare e approfondire con cura, che evidenziano comunque la straordinarietà della scoperta e l’acquisizione al patrimonio locale di un’altra importantissima opera trecentesca.

A cura del restauratore Romeo Bigini e del suo team, dalla rimozione di una piccola parte del coro ligneo, sono state ritrovate ulteriori parti affrescate, coeve a quella appena emersa. Va tra l’altro ricordato che proprio per la chiesa di Villa Verucchio era stata realizzata una grande pala d’altare, opera del pittore trecentesco riminese Giovanni Baronzio, parte della quale è oggi esposta a Roma a Palazzo Barberini, mentre l’altra parte è stata acquisita nel 2006 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e depositata poi sempre al Museo della Città di Rimini.

Le istituzioni assieme alla Soprintendenza competente per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, stanno collaborando per inserire il ritrovamento in un percorso conoscitivo e di adeguata valorizzazione. Dopo lo smontaggio di parte del coro ligneo Quattrocentesco, custodito fino alla fine dei lavori nella biblioteca francescana, per svelare l’affresco, l’intento è di promuovere studi e confronti tra i principali addetti ai lavori ai fini di una corretta lettura storica e artistica del dipinto; di realizzarne il compiuto restauro; di favorire la divulgazione dell’opera presso gli appassionati ed il grande pubblico; e, se possibile, di verificare eventualmente l’esistenza di altri reperti sulle pareti della Chiesa coperte dal coro. Un progetto ambizioso come tutti i progetti sostenuti dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e il Rotary Club Rimini, per il quale occorrerà il concorso di ulteriori collaborazioni al fine di scrivere pubblicamente, nell’interesse della comunità locale, e non solo, un nuovo e interessante capitolo dell’arte pittorica trecentesca a Rimini.

Ad Alessandro Giovanardi, responsabile culturale della Fondazione Cassa di Risparmio, chiediamo: il mistero piano piano si svela, si fa il nome di Pietro da Rimini come possibile autore: cosa ne pensa?

«Una volta rimosso l’ostacolo visivo del coro ligneo e spolverata la superficie pittorica, quel che mi aspettavo dal 2021 si è rivelato reale: una testimonianza sfolgorante della pittura riminese del Trecento e di un grande maestro. È doveroso restare aperti a ogni ipotesi, eppure, sì, penso personalmente che si tratti di Pietro e di una delle sue pitture più commoventi e autentiche: una compostezza classica, dove il disegno morbido e spontaneo ha infuso la vita, un’icona silenziosa che, tuttavia, vibra di sofferenza e di lacrime».

«Quando, due anni fa – continua lo studioso – mostrai il video al professor Daniele Benati, certo che si trattasse di un riminese, lui mi inviò subito un’immagine analoga di Pietro custodita a Boston. Lo stesso mi hanno comunicato recentemente Simonetta Nicolini, Fabio Massaccesi, Alessandro Marchi. Non escludevo al tempo si potesse trattare anche del coevo Baronzio, che lavorò a Villa Verucchio, ma l’ipotesi Pietro, davanti al risentito espressionismo di questo Cristo mi sembra, infine, la più convincente».

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