Il corto di Nenci in lizza per la nomination ai David di Donatello

Spettacoli

RIMINI. “Assenza essenza”, è il titolo del nuovo film (in lizza per la nomination nella sezione cortometraggi dei David di Donatello 2021) con cui il regista riminese Joseph Nenci ha voluto lanciare un messaggio forte e chiaro: il cinema e il teatro sono feriti, è vero. Ma non moriranno.
Prodotto da A&P Group – Trasmetto.it, patrocinato dal Comune di Montefiore Conca, il tutto muove da un’installazione dell’artista Sisto Righi, che ha allestito lo storico teatro Malatesta di Montefiore con sue opere che ritraggono volti ed emozioni, posizionate come sedute, a simulare proprio il pubblico che manca. All’attore teatrale Gianluca Reggiani, che ha recitato un monologo scritto per l’occasione da Nenci, il compito di dare passione e anima a questa provocazione artistica, a tratti drammatica ed emozionante.
Nenci, il vostro progetto parte da un passo della Costituzione americana: «Coloro i quali hanno la capacità di agire, hanno anche la responsabilità di agire». Cosa significa?
«Dal dramma artistico della chiusura è sorta la necessità di creare un “collettivo artistico” deciso e determinato a farsi sentire e a lasciare il proprio contributo di provocazione e speranza, auspicando vivamente che si possa tornare presto a vivere dal vivo l’arte, in quegli scrigni di passioni ed emozioni quali i teatri, i cinema, le arene del globo. E proprio perché siamo consci, come artisti, dell’importanza che l’arte ricopre, ci siamo ispirati a quel preciso passo della Costituzione americana per affermare con vigore che sapremo reagire a questa emergenza».
In che maniera avete “riempito d’arte” il teatro Malatesta?».
«Ho inteso rivisitare il format del mio ultimo spettacolo teatrale, “H[you]man” che fece il suo esordio in questo teatro poco prima dell’inizio dell’emergenza. Ho quindi allestito a mo’ di installazione quel luogo magico, coinvolgendo lo scultore sammarinese Sisto Righi, che ha partecipato anche alla 57ª Biennale di Venezia. Grazie alle sue opere, che raffigurano volti ed emozioni umane, abbiamo donato nuova linfa vitale al teatro. In fondo, qual è la cosa più importante in un teatro, così come al cinema, oltre all’arte? Ovviamente il pubblico. Se mancano gli unici destinatari del messaggio artistico, ecco che tutto si perde. Si vanifica».
In che modo è diventato un film?
«Il passo è stato breve. Proprio mentre assieme a Righi e ai produttori, Stefano Perilli e Giuseppe Andreozzi di A&P Group, stavamo ragionando su come allestire il teatro, ho scritto un monologo. Pensieri carichi di sentimento che riverberano tutto il disagio subito dall’arte e da noi artisti per colpa di questo virus. Ho chiesto quindi a Gianluca Reggiani di collaborare al progetto e di prestarsi all’interpretazione. Mutuando un concetto tanto caro alla biologia, “omnis cellula e cellula” (ogni cellula nasce da un'altra cellula preesistente, ndr), abbiamo dato vita, passo dopo passo, a questo cortometraggio che in brevissimo tempo ha ottenuto consensi e approvazioni da parte di partner importanti quali il Gruppo Giometti Cinema, l’Ueci (Unione Esercenti Cinematografici Italiani), la Casa degli Artisti di Sant’Anna del Furlo, l’Associazione culturale Dardo, nonché il plauso del noto critico cinematografico Luca Baroncini».
Reggiani – abbiamo chiesto al protagonista – cosa ha rappresentato per lei, in questo momento di chiusura delle scene, il richiamo costituito da questa provocazione artistica?
«Mi sono sentito e mi sento ancora impotente di fronte all’assurdità della situazione che stiamo vivendo, soprattutto per la violenza della narrazione generale su questa vicenda che non dà spazio a voci fuori dal coro della tragedia. L’unica cosa che possiamo fare allora è continuare con passione e ostinazione a fare quello che sappiamo e vogliamo poter continuare a fare, il nostro mestiere. Per questo ho accolto la proposta di Joseph Nenci di provare a manifestare il senso dell’“essenza” di ciò che facciamo in una condizione di folle, incomprensibile, forzata “assenza”».
In che modo l’“assenza” è divenuta quindi “essenza” della recitazione?
«L’essenza della recitazione, o dell’acting, o del fare arte in generale, risiede nelle mille manifestazioni possibili della parola relazione: con noi stessi, con i colleghi, con il pubblico, con lo spazio, da cui scaturisce l’espressione artistica. Per tutte le arti performative tutto acquista senso e potere solo quando si compie il rito dell’incontro con il pubblico. Quando si impedisce e si vieta qualsiasi forma di relazione con il pubblico si taglia la linfa vitale del nostro lavoro, e questa è una vera e propria tragedia, e le tragedie, si sa, non hanno un lieto fine».

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