Il Cesena, la Reggiana e il vino da portare

È arrivata la prima partita da consegnare alla storia del campionato, un tipo di partita in cui ad un certo punto il Cesena sembrava padrone della situazione: ha deciso che non doveva prendere gol e non lo ha preso. La Reggiana veniva da un 4/4 di vittorie in casa con 9 gol segnati sull’erba amica: ieri sera ha avuto un’occasione in tutto a tre minuti dal 90’ e il fatto che fosse in dieci uomini conta fino ad un certo punto, visto che come spirito sarà sempre una squadra d’attacco. Il Cesena l’ha fermata con un tipo di partita che ha ricordato molto quelle del primo Bisoli. Nella sua prima stagione in C1 (all’epoca Prima divisione), la sua massima libidine era dire a fine gara: “Visto? Non ci hanno tirato in porta”. E lo diceva con lo stesso occhio languido di chi vede qualcosa di bello di cui non può fare a meno, tipo Edmeo Lugaresi davanti a Emiliano Salvetti o Matteo Renzi davanti allo specchio. Sono bastate due settimane senza fare confusione sul tema portieri che il Cesena non prende più gol, anzi: non si sa ancora di preciso come sia fatta una parata di Tozzo, a riprova che quando sei sicuro di avere fatto una squadra all’altezza, il primo dovere sarebbe semplificare le cose e farla stare serena.

Ieri sera si è vista una gestione difficile dell’uomo in più sullo 0-0 e poi una gestione quasi perfetta dell’uomo in più sullo 0-1, da squadra esperta che se la vuole portare a casa. A proposito: una squadra esperta che sa dove vuole essere a fine aprile, ha smesso di farsi i complimenti già da stamattina, perché domenica arriva il Fiorenzuola, che non ha il nome della Reggiana ma è prima con merito, forte di ripartenze ribaltatutto da fare paura.

Il sacco del Giglio ha fatto capire a chi appoggiarsi nei momenti di difficoltà: Prestia dietro e De Rose in mezzo, due risorse che nello scorso campionato non c’erano. Prestia in particolare ha molto del Beppe Baronchelli che fu il sultano della difesa di Alberto Cavasin nel 1999. Il Cava lo aveva già allenato nel 1996 in C1 a Fiorenzuola (pensa te) e tre anni dopo lo chiamò in corsa a Cesena. Cavasin e Baronchelli all’epoca erano una cosa sola, feeling poi evaporato qualche anno dopo alla Fiorentina. Ma in quei mesi a Cesena erano uno spettacolo: furore in panchina e leadership in campo per un tipo di giocatore che il grande Gianfranco Civolani nei suoi libri avrebbe definito tripallico.

“Beppe, ho bisogno di te”.

“Sono qui mister, sono qui”.

“Beppe, mi servi troppo: ci dobbiamo salvare”.

“Sono qui mister, sono qui”.

Ripetete il tutto per un buon quarto d’ora e avrete i loro dialoghi delle prime settimane a Villa Silvia. Una sorta di Ale & Franz in panchina, ma sceneggiati da Quentin Tarantino: si caricavano a vicenda ripetendosi le stesse cose come un mantra.

Il Baro era forte di una leadership costruita sul campo e di gusti musicali raffinati: storico amante dei Timoria, roba per palati fini che diffondeva generosamente con demo-tape registrati per gli amici. Il primo Baronchelli fece presto a fare scattare la scintilla anche col tifo, tanto che si ricorda un suo dialogo con un profetico ultras a Villa Silvia all’inizio di un allenamento del martedì. Baronchelli la domenica successiva doveva scontare un turno di squalifica e aveva un tavolo prenotato al Manuzzi. L’ultras in questione si presentò quindi per chiedere la conferma della prenotazione.

“Beppe, visto che sei squalificato, vieni poi in curva con noi domenica?”.

“Ma sì, penso di sì dai, ti faccio sapere”.

“Quando lo sai?”.

“Dai, nei prossimi giorni te lo dico”.

“Prima possibile se puoi, che noi su certe cose siamo precisi. Fammi sapere se vieni, che c’è da fare la spesa e dobbiamo organizzarci col vino da portare”.

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