Il Cesena e la Nazionale: se il gioco vale la Candela

Riassumendo: il Cesena si è fatto picchiare, ha protestato, è stato ammonito. Il dato dei cartellini gialli (4 alla Fermana che le ha solo date, 3 al Cesena che le ha solo prese) ci dà un indizio su chi sia la squadra che non abbia capito la partita di ieri, tirata su per il coppetto da un Caturano che da subentrato può essere un riparatore di guai. Fosse stato wrestling, ai punti avrebbe vinto trionfalmente la Fermana, in un clima annunciato per tutta la settimana e che non poteva essere una sorpresa. Per la Fermana ora sono tutti anticipi di play-out e in C chi ha fame di salvarsi non ti chiede permesso prima di picchiarti, soprattutto in primavera.

Alla fine il punto è il risultato migliore possibile verso Cesena-Entella, una sfida che se non è la madre di tutte le partite, poco ci manca (diciamo che è la cognata di tutte le partite). Mancheranno per squalifica i due difensori centrali titolari (Gonnelli, Ciofi), ma almeno rientrerà Candela dall'Under 21. Ecco, appunto: la Nazionale. In questi mesi se ne parlerà parecchio e il dibattito sulla mancata qualificazione ai Mondiali promette di incanalarsi verso la classica conclusione: sono tutti colpevoli e non c'è nessun responsabile.

Nel caso del Cesena, proviamo a guardare il problema da un'altra prospettiva. Perché devo investire o puntare su un giovane per poi rischiare di non averlo nelle gare importanti? Antonio Candela si è perso la sfida tra terza e seconda in classifica (Cesena-Reggiana) per andare in tribuna venerdì scorso in Montenegro-Italia Under 21. In più ha saltato anche la Fermana in vista della gara di domani (Italia-Bosnia) dove ha concrete possibilità di finire di nuovo in tribuna. Mah. Si vuole migliorare il rapporto tra club e Nazionali? Iniziamo a fare in modo che diventi un rapporto davvero serio e professionale, senza fare i calendari lanciando i dadi a caso. Se un campionato vuole definirsi professionistico, quando gioca la Nazionale si deve fermare, altrimenti non è professionistico e resterà in eterno questo gioco a sopportarsi a vicenda.

L'ultimo giocatore di Serie C del Cesena convocato nell'Under 21 maggiore? Per trovarne uno bisogna tornare indietro di quasi 25 anni, quando l'eccellente Claudio Rivalta governava la difesa del Cesena di Benedetti che vinse la C1 nel 1997-'98. Rivalta era uno nato vecchio: debuttò in B da minorenne e a vent'anni venne promosso capitano da Alberto Cavasin in una stagione con una fiammeggiante rimonta da salvezza. Il Cava all'epoca era uno che regalava parecchio: un giorno sedò una rissa a Villa Silvia tra Masitto e un giornalista, prendendo per il collo il suo centravanti e sbattendolo nello spogliatoio, preludio a una inevitabile cessione al mercato di riparazione. In un girone di ritorno da media-promozione, quel Cesena (che aveva a centrocampo Matteo Superbi, oggi diesse dell'Entella) toccò l'apice in una vittoria clamorosa al Delle Alpi contro il Torino di Mondonico lanciato verso la serie A. Col passare dei mesi, Cavasin valorizzò una batteria offensiva di gran lusso, alternando quattro giocatori di categoria superiore (Salvetti, Bonazzoli, Comandini, Graffiedi). Alla vigilia di quel Torino-Cesena 1-2 (16 maggio 1999, gol di Salvetti, Comandini e Scarchilli) non ci fu una conferenza stampa e ai giornalisti fu dato a turno un appuntamento telefonico con Cavasin all'albergo, in una intervista che non fu esattamente un elogio della pretattica.

“Mister, non sto a chiedere la formazione, ma in attacco hai già deciso?”.

“Perché?”.

“In che senso perché?”

“Perché non mi chiedi la formazione?”

“Ah di solito non la dici mai”.

“No no, te la dico: davanti li metto tutti. Giocano dall'inizio Salvetti, Bonazzoli, Comandini e Graffiedi”.

“Ma no”.

“In che senso no? Cos'è, decidi tu?”.

“No no, scusa mi è scappato. Non credevo, ecco... c'è il Torino, sono lanciatissimi. Pensavo a una formazione più prudente”.

“Ma basta, macchè prudente, è quello che pensano loro. Così ragioni da perdente, come loro, che infatti perderanno. Giocano sulle nostre paure, credono che abbiamo paura. Invece saremo noi a fare paura a loro”.

“Ma non è troppo rischioso?”.

“Basta con queste paranoie, anche voi della stampa, che due scatole. Noi ci buttiamo in avanti e gli facciamo un mazzo così fin dall'inizio. Noi se le vinciamo tutte, possiamo andare in Serie A. Stamattina i giocatori mi hanno detto: “Mister, siamo un gruppo giovane, ci sta che adesso ci sia un po' di timore”. Sai cosa ho risposto?”

“No”.

“Ho risposto che se abbiamo un sogno, noi dobbiamo andare avanti con coraggio. Se c'è una porta chiusa, perché dobbiamo avere paura di aprirla, temendo che di là ci sia l'inferno? E se invece di là c'è il paradiso? Noi intanto apriamola quella porta, e se poi c'è davvero il diavolo, gli facciamo un culo così, lo picchiamo, lo prendiamo a calci, lo apriamo in due”.

(E andava avanti così e non la finiva più).

“Lo prendiamo a calci, a calci nel sedere....”

“Grazie mister, sono a posto allora”

“A calci, a calci li prendiamo, li roviniamo”.

“Allora grazie eh, ci vediamo domani allo stadio”.

“Li schiantiamo, li prendiamo a calci, a calci....”.

“A domani”.

“A calci, calci...”

Probabilmente continuò per chissà quanto a parlare con un telefono muto, ma tanto non gli interessava.

“Buona giornata mister”.

“A calci, a calci... li prendiamo a calci... a calci...”.

A distanza di quasi 23 anni, resta ancora il dubbio di quando abbia buttato giù il telefono.

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