Due anni e mezzo. È il tempo della surreale vicenda giudiziaria in cui è rimasta invischiata una imprenditrice riminese, trascinata in un aula di tribunale per difendersi dall’accusa di ricettazione a causa della sufficienza con cui una banalissima indagine per furto è stata condotta e trattata. Ed infatti, appena qualcuno ha guardato il caso con un po’ d’attenzione, al giudice non è rimasto altro da fare che assolverla «per non aver commesso il fatto»
La storia
È il mese di novembre del 2019 quando il marito dà alla presunta “criminale” la propria carta di credito per acquistare su Amazon da un venditore autorizzato uno smartphone Huawei. A marzo 2020, a Pistoia ad una signora viene rubato un telefono dello stesso modello di quello acquistato dall’imprenditrice riminese. Nel fare denuncia ai carabinieri fornisce il codice Imei, una sorta di codice fiscale composto da 15 numeri di cui sono dotati tutti gli apparecchi telefonici mobili. Iniziano le indagini e gli investigatori scoprono l’esistenza di un telefono con 14 numeri seriali identici a quello rubato che li porta dritti in Riviera. Nessuno pensa di chiamare la casa madre per capire se è possibile che lo smartphone rintracciato a Rimini sia quello sparito a Pistoia. Per saperlo, fa notare il difensore dell’imprenditrice l’avvocato Gianluca Brugioni, sarebbe bastata una semplice ricerca in Rete. Cosa che non viene fatta. È l’ottobre del 2020 quando la sua cliente viene chiamata dai carabinieri di Rimini che le sequestrano l’apparecchio e le comunicano di essere indagata per ricettazione.
Errare è umano, perseverare…
Il caso arriva così al terzo piano del palazzo di Giustizia di Rimini dove in quattro e quattro otto la vicenda viene chiusa con un decreto penale di condanna contro cui presenta opposizione l’avvocato Brugioni. Si arriva così a martedì mattina quando il caso approda in Tribunale. La difesa presenta prove inoppugnabili: la ricevuta di pagamento del telefono, la scatola originale e la risposta data all’avvocato Brugioni dalla Huawei: per essere il telefono sparito a Pistoia il codice Imei deve corrispondere in tutti i 15 numeri, non solo in 14. Fine dell’incubo. Dopo l’assoluzione il giudice ha disposto l’immediata restituzione dello smartphone, il cui sequestro ha creato anche diversi problemi di lavoro all’imprenditrice: aveva infatti due Sim e una era piena di numeri e dati aziendali.