Il caso George Floyd secondo Massimo Padua

Cultura

Notte travagliata, la nostra. Notte buia che trova sfogo in botte di noia. Note pesanti travasate da un Paese all’altro, che attraversano confini con nessun altro fine se non quello di finire ciò che non è mai cominciato, di cominciare quello che non è mai finito. Infinito come un otto rovesciato, come un uomo assoggettato, come un corpo ormai finito in quattro e quattr’otto. Gli stessi noti, i soliti ignoti la cui professione non è un segreto neppure per Mozart, che nel suo Notturno in re maggiore gioca in allegria. Ma non ci sono re e nemmeno tanta allegria. Forse solo un’allergia a un reame che ha più il sapore di un regime. Niente Pink, solo Floyd. Tutto bianco tutto nero che lo tiene un mese intero, e non resterà intero per più di un altro mese.
Note che volano in alto perché a terra non respirano, non riescono a respirare perché sono solo macchie nere sotto un rigo bianco, strisce bianche elevate da nasi che non sono neri, stelle comete che cadono in basso, ma così in basso da trascinare un’intera nazione sotto terra. Nella polvere. Polvere di stelle, senza vitti e alloggi sordi, e se la banana non ce l’hai allora te la fai dare del calibro che preferisci, e invece di usare le palle per fare buca, tiri pallottole al buio, e la buca te la crei, così ti senti ancora più bianco, più lindo, più limpido. E poi ti fai lampade perché così sei più cool, esattamente come la tua faccia, che lo è tutto l’anno, in qualche giorno un po’ di più. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che avete voi prima di andare al diavolo. Che poi come faccia a guardarsi allo specchio non lo sa nessuno. Specchio riflesso, specchio convesso, reo non confesso che si rompe e porta sette nani e neve bianca, sette anni di disgrazia, come se la grazia l’avesse mai posseduta. Grazia ricevuta.
Note che si aggrappano a chiavi di violino prima che le persone violino la serratura di una porta sempre aperta. Voci che non vogliono perdersi e che insieme ricompongono un mondo, un’anima collettiva, un soul che solo a sentirlo si spaccano le nuvole e spunta il sole. Perché il sole, alla fine, la spunta sempre. Sol diesis. Sol dies irae. Messa per i defunti, messa lì per un conforto, Messalina senza torto. Messa nera per poveri cristi senza legge. Senza arte né parte, solo parti con cordoni troppo lunghi, per condoni non richiesti. Non rischieresti se le autopsie svelassero l’origine. Invece raccontano di un male fasullo, di un Catullo senza rime e senza carme. Un karma contro il quale nessuna arma può cantare, può contare fino a dieci e sparare già dall’uno. Fuoco! Fuoco nella polis con la police.
E che razza di uomo non solleva il ginocchio, ma alza il gomito nei dopocena infiniti di statue della libertà di uccidere. Che vomito!
Ma noi corriamo incontro al tempo, controvento, e siamo stelle vere, fecce nere, inesplose, e poi dritto fino al mattino, fino al martirio, perché la notte incombe. Affinché la notte, infine, soccomba.

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