Il "Cabaret Yiddish" di Moni Ovadia a Ravenna

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Quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno, ovvero il “suono dell’esilio” del popolo ebraico – che sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe – è al centro di questo cabaret fatto di brani malinconici, canti sublimi, storielle che sono aforismi esilaranti. Uno spettacolo da camera intramontabile (il debutto risale al 1992), attinto da quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica, che risale agli esordi scenici di Moni Ovadia, carismatico affabulatore, capace di infondere un’energia speciale. Che ritrobviamo da oggi a domenica con inizio ale 21 (domenica alle 15.30), al teatr Alighieri di Ravenna. “Cabaret Yiddish” è il secondo spettacolo della Stagione denominata “Malagola” ovvero la scuola di vocalità e centro studi sulla voce diretto da Ermanna Montanari con la vicedirezione di Enrico Pitozzi, studioso e docente dell’Università di Bologna.

Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora. La musica Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino e archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.

«Ho scelto di dimenticare la “filologia” – dice Moni Ovadia – per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali “scientificamente determinate” per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere “santo”, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime»

Con Moni Ovadia il violino di Maurizio Dehò, il clarinetto di Paolo Rocca, la fisarmonica di Albert Florian Mihai, il contrabbasso di Luca Garlaschelli.

Biglietti da 7.50 a 26 euro.

Info: 0544 249244; 378 3046661

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