Il "boss dei Van Gogh" aveva una base a Cesena

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Torna evidente come la malavita organizzata, ciclicamente, sfrutti il territorio cesenate per i suoi loschi traffici.

È emerso di nuovo in questi giorni dal pentimento di uno dei boss della droga che aveva base operativa ed organizzativa nella zona di Castellammare di Stabia.

Raffaele Imperiale, arrestato nei mesi scorsi a Dubai dopo una lunga latitanza, è noto al mondo come il “boss dei Van Gogh”.

Perché dopo aver lavorato per tantissimi anni solo ed esclusivamente nel mercato all’ingrosso della cocaina, ora si stava concentrando solo sui flussi di denaro e su come riciclare i proventi milionari della vendita di droga.

Il “boss dei Van Gogh”

Parte questi soldi li aveva riciclati appunto acquistando due tele di Van Gogh a prezzi esorbitanti. Raffaele Imperiale ora è diventato collaboratore di giustizia. Dopo le prime ammissioni del suo socio a Dubai, Bruno Carbone, in queste ore ha iniziato a confessare anche Daniele Ursini, uno dei riferimenti del cartello della droga sul territorio napoletano.

Era lui a organizzare i trasporti e riceveva uno stipendio sontuoso: fino a 20.000 euro al mese. È lui che ha chiarito alla Guardia di Finanza partenopea che per muovere la droga e tenerla in deposito prima e durante le rivendite venivano usate delle villette isolate in Campania. Ma anche un insospettabile capannone a Cesena, nella zona tra Pievesestina e Torre del Moro.

Da e per l’Europa

I trasporti dello stupefacente diretti al deposito cesenate di transito, avvenivano sempre e solo su gomma. Cesena era stata scelta perché punto di interscambio tra nord e sud Italia ed Europa. Con E45 ed autostrada A14 facilmente raggiungibili e dalle quali i carichi possono arrivare e ripartire agilmente verso qualsiasi destinazione. Per ora non è chiaro da quanto tempo Cesena e la Romagna venissero sfruttate da questo gruppo di narcos. Anche perché gli interrogatori e le rilevazioni continuano. In un contesto davvero differente rispetto a quello di tante altre volte.

Senza protezione

Raffaele Imperiale è stato un malavitoso atipico e così oggi è anche un pentito fuori dagli schemi tanto che, dopo la sua decisione di collaborare, ha scelto anche di non avvalersi del programma di protezione. Imperiale ha compiuto 48 anni il 24 ottobre scorso, il giorno prima di ufficializzare il suo passaggio dalla parte dello Stato, spiegando come nel tempo abbia mosso tonnellate di coca e montagne di soldi. Tanti da far prima a pesarli che a contarli. Parla quattro lingue e il suo ultimo domicilio è stato Dubai, negli Emirati Arabi, dove è stato arrestato.

Dalla droga al riciclaggio

Imperiale ha fatto la sua fortuna con il traffico internazionale di stupefacenti, ma progettava di rigenerarsi e cambiare attività e puntare in particolare sui flussi di denaro. Era il 2016 e Imperiale era economicamente a terra. Si riprese con un carico da 300 chili di cocaina che fece fruttare all’ingrosso. Ma un nuovo business si parò all’orizzonte. «Cambiai attività, trovai un contatto forte, un cambista e iniziai a lavorare sui flussi di denaro - spiega - Il mio progetto, se non fossi stato arrestato, era quello di lasciare progressivamente il traffico di droga e di lavorare solo sui flussi di denaro. I cambisti sono la chiave del narcotraffico internazionale, che non esisterebbe senza di loro» ha detto ai pm.

Muovere i soldi è la chiave e ripulire quelli della droga è la priorità. «Per un periodo, nel 2020, compravo oro al Tarì che portavo in Germania: fino a 40 chili a settimana. Ho reinvestito complessivamente 30/40 milioni in oro». Sono cifre che non stupiscono, visto che stiamo parlando del boss che riciclò i soldi del narcotraffico acquistando due quadri di Van Gogh.

Il suo mercato era il mondo, anche per quanto riguarda il riciclaggio. «Ho investito in lingotti d’oro, so che a Napoli vendono lamine - continua Imperiale - I lingotti li ho presi da un’azienda, una fonderia che si trova vicino Venezia».

Riunioni online

Per gli affari servivano i contatti ed era necessario riunire periodicamente il «consiglio di amministrazione» dell’organizzazione e questo avveniva rigorosamente via Skype e attraverso altre piattaforme simili.

Come funzionava il traffico di droga? «Noi lavoravamo sempre a credito e, più velocemente pagavano i clienti, più rapidamente gli facevamo ulteriori forniture. Era un sistema vorticoso - spiega - in continuo movimento. Il trasporto del denaro avveniva con le cosiddette macchine “a sistema” (ovvero con scomparti segreti costruiti appositamente nei veicoli, ndr) quindi con lo spostamento fisico del denaro. La consegna avveniva in un luogo individuato dal cliente, dove di solito ci occupavamo di ritirare noi, poi i soldi venivano spostati in una nostra casa dove il denaro veniva contato e diviso e poi messo al sicuro in appositi ‘appoggi’».

Tra questi anche il deposito di Cesena. Luoghi sicuri ed insospettabili dove potevano trovarsi contemporaneamente droga o contanti fino a 10 milioni alla volta.

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