I vini riminesi oscurati e trascurati

Abbiamo assistito anche in questa edizione del Vinitaly come, a fronte del coraggio imprenditoriale delle nostre cantine presenti le ricordo ben 7: Cantina Cà Perdicchi, Tenuta Mara, Cantina Franco Galli, Cantina Enio Ottaviani, Tenuta Sant’Aquilina, Tenuta Santa Lucia e Cantina San Valentino alcune delle quali erano presenti con propri stand ed investimenti importanti, non sia stato messo in risalto, nella comunicazione degli enti che organizzavano la trasferta veronese, la zona riminese.
La provincia di Rimini diventa uno spazio vuoto sul quale apporre un’immagine decorativa, un fregio, un vezzo pittorico appena abbozzato, una punta di leggerezza artistica in mezzo a tanta potenza enologica.
E così, mentre sul resto della regione campeggiano bottiglie di tutti tipi a Rimini soffochiamo sotto un grappolo bello pesante, sembra dire: qui non c’è niente dal punto di vista enologico, una etichetta che ci possa rappresentare. Abbiamo voglia noi a investire, fare vigne, dotarci dei migliori enologi, cercare sempre più di esaltare la nostra vocazione rurale tramite una produzione enologica di tutto rispetto. Il riminese deve rimanere un figlio di un Dio minore buono tutt’al più per recepire migliaia di ettolitri di vino sfuso con il quale fare scendere bocconi mal masticati a turisti low cost. A nulla è valsa anche l’istituzione di una doc specifica, la Colli di Rimini, per ribadire la nostra vocazione enologica.
Via! Tutto cancellato; con buona pace dell’Enoteca Regionale e dei suoi amministratori, molto attenti ai destini dei singoli territori. Eppure c’è stato un momento in cui Rimini sembrava l’astro nascente dell’enologia regionale.


Ricordo dirette televisive degne di Sanremo per distribuire i premi più prestigiosi, uno stand al Vinitaly dove la scritta RIMINI WINESTYLE era la prima cosa che si vedeva entrando nel padiglione dell’ Emilia Romagna; ricordo la corsa emulativa delle cantine nel cercare di sviluppare l’ultima prodezza enoica da comunicare all’universo mondo, ricordo Lucio Dalla alla presentazione di Castel Sismondo, Muccioli, San Patrignano, Cotarella, il Convitto di Romagna e il Gambero Rosso che ci presentava come la nuova Bolgheri.
Ma come tutte le età dell’oro anche quella di Rimini è finita. Schiacciata da un nuovo paradigma enologico. Si è deciso che i canoni del vino di qualità, quello con la V maiuscola, fossero del tutto diversi da quelli che ci avevano fatto considerare un astro nascente. Laddove campeggiavano vini iper premiati, che erano più dei mangia bevi che delle sostanze liquide ora in tutta la Romagna compreso a Rimini la nuova stella polare diventava la Borgogna senza tenere conto delle caratteristiche del territorio dove viviamo e lavoriamo. Certo la nuova strada è percorribile senza problemi da chi ha il terroir giusto, ma è difficile pensare che come dei nomadi terrieri avremmo dovuto trasferire tutte le nostre aziende a 400 m di altitudine e sviluppare l’eleganza borgognona tanto decantata quanto sconosciuta e impraticabile. Costantemente tirati per la giacchetta da questa assurdità prima di tutto imprenditiva abbiamo perso la bussola come quando si è voluto adattare la Ducati allo stile di guida di Valentino Rossi… un caos.
E così, oggi, rischiamo di diventare degli zombi enologici sui rossi e dei fantasmi sui bianchi.
Sembra che la nostra varietà enologica invece di essere una ricchezza sia un elemento di imbarazzo di cui è bene non parlare. Voglio sperare che sia solo ed esclusivamente una scelta dei giornali e che le istituzioni di valorizzazione enologica non c’entrino nulla perché altrimenti dovremmo subito mettere in conto di passare alle Marche sperando di avere maggiore fortuna.

  • * Presidente della Strada dei vini
    e dei Sapori dei Colli di Rimini

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