I Motus presentano Santarcangelo 2021

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È un festival che recupera e rilancia quello che dall’8 al 18 luglio tornerà in scena a Santarcangelo col pubblico in presenza. La compagnia Motus, alla direzione artistica, ha creato un progetto intitolato Futuro fantastico (II movimento), sottotitolo “Festival mutaforme di meduse, cyborg e specie compagne”, ultimo atto di Santarcangelo festival 2050, che di fatto rappresenta due festival in uno, anzi tre, perché la pandemia da Covid ha fatto slittare sia l’edizione del cinquantennale che quella invernale.

«È tanto ampio il progetto 2021 quanto difficile – dichiarano Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, fondatori e registi della compagnia chiamata a inventare il progetto del cinquantennale – ma siamo fiduciosi perché abbiamo una squadra forte attorno, con cui condividiamo il percorso, e una comunità che prende parte attiva in quella che è la grande opera corale del festival».

Correre dei rischi è la loro sfida dichiarata, e ciò si traduce nelle scelte: delle tematiche, privilegiando quelle sociali, politiche, ambientali; degli artisti; dei luoghi; del coinvolgimento. Scelte improntante alla rottura dei paradigmi, all’esplorazione di nuove geografie relazionali, alla continua mutazione, ridefinizione, scambio, ibridazione, contaminazione per dare forma all’irrequietezza e alla multiformità che incarnano lo spirito del festival.

Parlate di rischio, voi tenete alta la posta, è un rischio calcolato?

«In un certo qual modo lo abbiamo calcolato e Santarcangelo dei Teatri così come la città sono attrezzati e adeguatamente preparati».

Il virus ha provocato cambi di rotta, con quale spirito avrete costruito questa edizione posticipata e con quali occhi il pubblico dovrà guardarla?

«Abbiamo lavorato cercando di continuare, nonostante tutto, a produrre immagini e fertilizzare il territorio inaridito dalla paura del virus che poi è diventata paura dell’altro e del diverso. Molte saranno le opere che non abbiamo mai visto perché sono nate nel vuoto del lockdown e altre sono figlie di una lunga metamorfosi, questo è il nostro patto di fiducia con gli artisti ed è parte della nostra sfida. Torniamo a ospitare la scena internazionale per generare contaminazioni con mondi culturalmente e geograficamente lontani, dove le problematiche sociali e politiche sono complesse e con contraddizioni esplosive. Ci prenderemo cura di compagnie con cui vogliamo davvero entrare in contatto, conoscere umanamente, al di là della facciata promozionale, per metterci in gioco, rischiando, tanto. Forse troppo, ma chi può stabilire un limite in questi tempi?».

Nel rilancio del vostro “Fantastico” un ruolo determinante ce l’ha il lavoro collettivo e la creazione di interzone dove i confini vanno a confondersi.

«Sì. Nel nostro viaggio c’è l’apertura agli aspetti partecipativi che sconfinano nell’invasione degli spazi pubblici, dalle piazze ai parchi. E altro aspetto della sfida è il numero di proposte che è altissimo. Questo perché il distanziamento costringe a ridurre i posti che nel nostro caso sono già limitati, perciò offriremo molte più opportunità».

Usate parole come recupero, riscoperta, in riferimento agli artisti, ai luoghi, in che direzione portate questi concetti?

«Abbiamo recuperato gli artisti stranieri che avrebbero dovuto essere qui nel 2020, così i gruppi più giovani, i progetti corali figli di chiamate pubbliche che coinvolgono la comunità, e abbiamo lavorato per recuperare e reinventare gli spazi che sono aumentati notevolmente e ne abbiamo creati di nuovi, primo fra tutti quello che abbiamo chiamato Campo che era una selva e ora è un parco in mezzo al bosco dove prende vita un progetto speciale di formazione e ricerca, titolo How to be together, con la realizzazione di un villaggio temporaneo ecosostenibile che ospiterà un gruppo di circa 50 artisti da tutta Europa».

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