I Ministri aprono "Scatolette" al Rockplanet di Cervia

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Tornano in tour I Ministri, tra le principali rock band italiane del nuovo millennio, per presentare il nuovo album di prossima uscita. Suonano stasera al Rockplanet di Pinarella di Cervia.

Federico Dragogna, chitarrista e cantante del gruppo, come definirebbe fare rock oggi a Milano, città in cui imperano rap e hip hop?

«Testardaggine, anche se quel che sta capitando ai Maneskin ci fa pensare di aver contribuito ad aprire una strada. Noi fin dall’inizio volevamo dire qualcosa, al di là del genere, e non abbiamo mai avuto pose da rocker».

Come vivete il confronto con gli altri generi?

«Chi fa musica tende a vedere le differenze tra generi molto meno rispetto al pubblico e agli organi di comunicazione, che tendono a etichettare per definire. Quando ascolto gli altri cerco di riconoscere dove c’è vitalità, al di là del genere. C’è poi da dire che per un ragazzo di oggi fare rock è complicato, perché devi comprarti uno strumento, imparare a usarlo, trovare altri con cui formare una band, pagare una sala prove… Insomma trovarsi in un parchetto con un microfono e un amplificatore è più semplice. Forse se avessi vent’anni farei così anch’io».

Finalmente siete tornati in tour: vi considerate principalmente una live band?

«Oggigiorno, visto che la musica è gratis o quasi, tutti sono live band, perché i concerti sono la fonte di sostentamento principale. Tornare ad avere un pubblico di fronte è bellissimo per noi, ma credo che lo sia anche per loro, perché significa superare tutte le paure degli ultimi due anni. Ho alcuni medici in famiglia, e riflettevo sul fatto che sia loro che io incontriamo tanta gente nel nostro lavoro, ma io ho la fortuna di incontrarla in un momento in cui sta bene ed è felice; questa è una grande fortuna».

Fin dall’inizio siete riconoscibili perché indossate divise militari d’epoca. Come è nata questa usanza?

«Certamente non abbiamo inventato niente: già i Beatles lo facevano, e molti altri dopo di loro. Per noi è stato casuale, perché proprio all’inizio della nostra storia capitammo in un mercatino dell’usato, dove vendevano divise napoleoniche “originali”, e ci venne l’idea di usarle. Il problema fu che erano in lana cotta, non proprio comodissime da indossare sul palco in agosto. In ogni caso alla gente piacque, e la cosa continuò, cambiandone un set ad ogni nuovo disco. Oggi va molto meglio, perché ce le fa su misura, in materiale adatto, Nick Cerioni (stylist di Achille Lauro e Maneskin, ndr.), che è un amico».

A proposito di immagine, che rapporto avete con i social?

«Abbiamo cominciato a usarli fin da subito. All’epoca c’era Myspace, e tutta la rete, in generale era più un posto in cui tenersi in contatto coi fan, piuttosto che l’arena di varie nefandezze che è diventata oggi. Attualmente, pur essendo presenti sui social, preferiamo comunicare con i nostri fan attraverso una newsletter».

Parliamo del vostro nuovo singolo “Scatolette”, che parla proprio di questo.

«È vero, parla della differenza tra fare musica come la facciamo noi, come si faceva un tempo, e farla oggi, secondo le modalità della musica “liquida”. Concepire musica per lo streaming ti costringe a lavorare in maniera specifica. Nel brano raccontiamo che scelte, rinunce e difficoltà incontra che sceglie di fare come noi. Nel testo diciamo “chiudono le biblioteche, chiudono le discoteche”, per simboleggiare dove sta andando il mondo della cultura. Noi scegliamo di suonare in posti valorosi come il Rockplanet, che ormai sono dei piccoli “villaggi di Asterix”».

Il brano è più morbido del vostro repertorio abituale, quasi una ballata: sarà così anche l’album “Giuramenti”, che esce il 6 maggio?

«In realtà la ballata è nel menu di ogni rock band, ed è curioso che alcune delle nostre, pur in un repertorio più duro, siano le preferite dai fans».

Biglietti a 20 euro.

www.rockplanet.it

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