I balilla e le tre leggi dei social

Un dipendente della Protezione Civile di Rimini invita via mail colleghi e colleghe a una giornata di “esercitazioni” denominata “Sabato Balilla”. Non vi era nulla di eversivo, come poi è stato spiegato, tuttavia rimane il fatto di una comunicazione di cattivo gusto. Una pataccata, comparata alle cose che stiamo vivendo certo, ma comunque un’azione potenzialmente offensiva.

Vale la pena però domandarci come mai sempre più spesso assistiamo a questi “sconfinamenti” di battute da bar ad ambiti lavorativi, che in teoria dovrebbero essere schermati da un’aura di formalità. Il fatto è che la prima legge dei social è quella del: “A cosa stai pensando ora?”. I social esistono solo quando noi vi scriviamo “dentro”. Noi siamo gli utilizzatori dei social ma anche il loro prodotto. E quindi siamo costantemente invitati, elicitati, stimolati alla scrittura di qualsiasi cosa ci passi per la mente. Spesso si tratta di cose serie e intelligenti. Ma altrettanto spesso assistiamo alla messa in scena di una sorta di “intimità di massa” come spiegano i sociologi della comunicazione come Giovanni Boccia Artieri. Questa modalità di comunicare è diventata dominante. Sempre meno percepiamo il senso del limite e del pudore. La forma dei social dà forma al nostro modo di comunicare e così mettiamo Like, faccine che ridono e faccine che piangono e anche peggio. Nei social deve essere dominante la leggerezza e la spensieratezza, con la costante infantilizzazione dei protagonisti (cioè, noi).

Ma soprattutto, e questa è la seconda legge, “tutto passa”. Se scriviamo una sciocchezza possiamo comunque mimetizzarla con i post successivi. Nel giro di un paio di giorni sarà sommersa poi da un cumulo di altre notizie, post, cinguettii. Certo, è vero anche il contrario: le cose postate rimangono ma questo è un problema solo per le persone molto famose o per coloro che cercano un posto di lavoro prestigioso.

Un tempo le sciocchezze si dicevano al bar, poi le abbiamo trasferite nei social, che ci hanno stimolato a produrne in serie e a moltiplicarle. Quindi ci sentiamo legittimati a continuare così anche in ambiti lavorativi e seri. Ed è molto difficile resistere. Qualche giorno ho fatto da valutatore anonimo di una tesi di dottorato di sociologia. Era una tesi fatta molto bene di taglio sociosemiotico. Nella mia revisione ho suggerito di fare delle Conclusioni altrimenti sarebbe mancato l’aspetto di sintesi ed era un peccato. Dopo qualche ora, ho pensato che avrei dovuto scrivere una cosa scherzosa del tipo: “Una tesi (eccellente) senza Conclusioni è come una piada sardoncini, cipolla e rucola senza bicchiere di Sangiovese”. Una frase certamente fuori luogo in una revisione di tesi di dottorato. La sintesi è che quando vi viene da scrivere qualcosa e avete qualche dubbio seguite la Terza Legge dei social: non scrivetela. E versatevi un bicchiere di Sangiovese.

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