«Soppresso senza visita»


Balto non doveva morire. Era sì vecchiotto e acciaccato quel labrador di 15 anni. Ma la sua soppressione, nell’estate del 2020, fu eseguita senza valutare nessun’altra alternativa. E l’iniezione praticata dal dottor Mauro Guerra, fu avvallata dai proprietari, nello specifico l’ex direttrice del carcere di Ravenna Carmela De Lorenzo e il marito Francesco Vasta. Questa l’accusa che ieri ha portato il sostituto procuratore Marilù Gattelli a chiedere la condanna a 6 mesi e 20 giorni per entrambi i coniugi, contestando nei loro confronti non solo il maltrattamento ma anche l’uccisione del proprio cane, in concorso con il veterinario di Sant’Antonio. Per quest’ultimo è tutt’ora in corso il dibattimento legato a un corposo elenco di contestazioni riguardanti la propria attività, che gli è costata la radiazione dall’albo e il sequestro dell’ambulatorio. Ieri invece è giunto alle battute finali davanti al giudice per l’udienza preliminare Corrado Schiaretti il processo con rito abbreviato per i padroni di Balto.
«Maltrattato e ucciso»
E’ il 19 agosto 2020. L’attenzione di un agente di Polizia locale fuori servizio viene attirata dai guaiti di un cane. Lo trova accasciato a terra, oltre una recinzione. Parte la segnalazione che porta a un primo soccorso: Balto è sofferente, solo, lasciato al caldo, senza cibo né acqua. Il fatto che mangi e beva, fa dedurre che le sue condizioni non siano disperate, anche a parere del pronto soccorso veterinario. Contattati telefonicamente, i proprietari informano Guerra, specialista di loro fiducia, che il giorno stesso riceve nel proprio ambulatorio il cane. Da lì il labrador non uscirà più vivo. L’iniezione fatale gli viene praticata la sera stessa, secondo l’accusa senza alcuna visita né diagnosi che ne attesti lo stato terminale, come previsto dalla legge per procedere all’eutanasia.
Partono le indagini, che si focalizzano sì sulle condotte del veterinario, ma ricostruiscono anche la storia di Balto. Una vita passata, secondo l’accusa, all’aperto, senza cuccia, talvolta legato con una corda lunga poco più di un metro, privato di cure e visite e tenuto lontano dai padroni, che l’avrebbero tenuto segregato in una stalla lontana dalla loro abitazione, affidandone la cura a un vicino durante la loro assenza. Maltrattato fin da cucciolo secondo la Procura, che ieri ha chiesto la condanna per entrambi i coniugi accusandoli appunto anche per la triste fine.
Imputati anche i genitori
Con i padroni del labrador, anche i genitori del veterinario, Bruno Guerra e Vera Giunchedi, hanno scelto il rito abbreviato. Nei loro confronti la Procura ha chiesto la condanna a 4 mesi e 140 euro di multa. Le accuse, questa volta, riguardano tutt’altro: la detenzione di un fucile da caccia calibro 12, trovato in un armadio in garage nel corso di una delle perquisizioni effettuate nel corso dell’indagine principale. Quelle cioè che hanno contribuito, dopo il sopralluogo nella clinica di Sant’Antonio, di formulare il capo d’accusa nei confronti del dottore. Fra tutte, le condizioni igieniche scadenti, irregolarità nella gestione di farmaci, rifiuti, soppressioni eseguite senza seguire le dovute procedure per non fare soffrire gli animali, e una contabilità parallela con tanto di ritrovamento di un tesoretto di oltre 600mila euro in contanti. Su questi aspetti sarà un altro giudice a doversi esprimere.
Il processo di ieri, invece, andrà a sentenza a gennaio, non prima di avere ascoltato le testi dei difensori degli imputati. Per l’ex direttrice del carcere e il marito, l’avvocato Ermanno Cicognani, per i genitori del veterinario, i colleghi Claudio Maruzzi e Carmelo Marcello.