Ha raccontato al pubblico ministero, dal letto dell’Ostetricia in cui è ricoverata, tutta la dinamica dell’accaduto. Per quanto la ricordi e per come la ricostruisca dal suo punto di vista. Denotando, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le problematiche di disagio psico-intellettivo di cui gli investigatori erano già ormai a conoscenza.
La 31enne che due notti fa ha dato alla luce un bimbo per poi abbandonarlo a fianco dei bidoni dell’immondizia fuori dalla sua abitazione, nelle campagne periferiche del Cesenate lato Rubicone, ha ripercorso al sostituto procuratore Susanna Leonarduzzi le tappe della vicenda shock che la vedono come protagonista.
Lei e il suo “fidanzato”, il padre del piccolo, un disabile cognitivo di 54 anni, erano già stati posti “nell’ottica” di non poter sostenere la genitorialità. Il bimbo, una volta nato, sarebbe stato immediatamente affidato ai servizi sociali, in attesa di una adozione immediata da parte di una famiglia diversa dalla loro.
Poi le contrazioni, due notti fa attorno alla mezzanotte; improvvise ma non del tutto inattese, mentre lei era a casa sua, dove vive con i suoi genitori, e il suo compagno stava lavorando, impegnato in mansioni di custodia dei beni pubblici in centro a Cesena.
La 31enne ha raccontato il dolore del parto come “giustificazione” della chiamata arrivata nel cuore della notte al 118, quando non erano state date indicazioni su chi avesse bisogno e dove. Poi ha ricordato la seconda chiamata al numero di soccorso, quando l’ambulanza è arrivata a casa sua perché non riusciva a espellere la placenta, stava male ed era a rischio emorragia.
È in questo momento, alle 7.30 del mattino, che è stato trovato il bambino: fuori da casa, a fianco dei cassonetti dell’immondizia. Chissà da quanto tempo fosse stato lasciato all’esterno dell’abitazione. Il suo corpo, in quel momento, aveva raggiunto la temperatura di 25 gradi. Stava per morire, insomma.
Ma i soccorsi dei sanitari lo hanno strappato alla morte tanto che ora, in rianimazione pediatrica, le sue condizioni migliorano di ora in ora. Anche se eventuali danni subiti al cervello potranno essere valutati soltanto in futuro.
«L’ho messo fuori perché in casa non c’era spazio per lui - ha spiegato la 31enne, che poi ha virato il suo discorso contraddicendo quelli che erano i programmi prima del parto - Adesso però il bambino non voglio darlo via. Lo voglio, datemelo e fatemelo vedere».
Una richiesta alla quale gli inquirenti non acconsentiranno. Della tutela del piccolo, dopo quanto accaduto, ora si sta occupando, in contemporanea alle indagini forlivesi, anche la Procura minorile di Bologna. Tutte le carte dell’accaduto stanno confluendo anche sul tavolo del pm Caterina Salusti.
Il piccolo, già affidato ai servizi sociali, appena le condizioni di salute lo permetteranno, verrà ospitato in una casa famiglia in attesa dell’adozione.
Il procuratore Enrico Cieri e il sostituto Susanna Leonarduzzi hanno sulle proprie scrivanie un fascicolo per tentato infanticidio. Ieri la pm Leonarduzzi, a Cesena di buon mattino, oltre ad aver ascoltato la partoriente (il cui nome è già iscritto sul registro degli indagati) ha voluto sentire la versione dei fatti data anche dai genitori di lei, che erano in casa al momento del parto e delle richieste di soccorso; come quella del compagno della 31enne e padre del bambino, poi arrivato “infuriato” in pronto soccorso a ore dal ricovero del neonato.
Tutte dichiarazioni che finiranno nell’inchiesta per capire se e quante persone debbano essere coinvolte (oltre alla partoriente) nell’accusa di tentato infanticidio. È escluso che la giovane possa aver fatto tutto da sola nella notte del parto e nei soccorsi che le sono stati prestati poi il mattino seguente.
Il contesto emerso, sentendo tutti i coinvolti e (due giorni fa, nell’imminenza dei fatti) anche il personale del 118 intervenuto e i carabinieri che stanno investigando, è quello di un disagio psico-intellettivo tale che qualsiasi tipo di accusa ipotizzata dovrà necessariamente passare al vaglio di perizie sull’imputabilità delle persone coinvolte.