Parla l’anziana che ha denunciato l‘ex giudice di pace di Ravenna: “Mi ha portato via mezzo milione”

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Ad aprire il portone è la badante. Ci accompagna nel salottino dell’appartamento a un passo dal centro storico. La padrona di casa attende sulla poltrona, fra mobilio d’antiquariato e pareti impreziosite da un’oculata selezione di opere. La colf le rimbocca le maniche per il pranzo e conclusa l’intervista la conforta. «Lei è la più buona persona che io abbia mai conosciuto», le dice vedendola provata più dai pensieri che dai suoi 92 anni di età. L’angoscia di cui ci parla l’anziana, riguarda il presunto raggiro da parte di un ex giudice di pace ora in pensione che lei considerava una persona di fiducia, ma che invece pare fosse molto più interessato al suo cospicuo patrimonio che all’amicizia. La querela per circonvenzione d’incapace sporta a inizio anno accusa anche il figlio dell’ex magistrato onorario e si è arricchita di due successive integrazioni, l’ultima delle quali risale al mese scorso: riguarda un ricco patrimonio fatto di tre immobili di prestigio, una barca, conti correnti, gioielli, sottratti - stando alla querela - facendo leva su una lucidità a volte vacillante. Fa sorridere che fra tutte queste ricchezze la 92enne abbia un chiodo fisso: «Le tende del salotto - insiste -. Quando decidemmo di vendere la casa che avevo prima convincendomi ad andare in un centro per anziani, il figlio del giudice si è alzato di scatto andando a toglierle. E da questo appartamento, in mia assenza, sono scomparsi quadri e una bilancia antica». Ormai disillusa, sintetizza così l’atteggiamento di quello che considerava una persona fidata: «Aveva il brutto vizio di appropriarsi delle cose che gli piacevano. E la lacrimuccia facile».

Signora, andiamo con ordine. Come ha conosciuto il giudice?

«A una cena al Grand Hotel di Cesenatico, almeno 15 anni fa. Chiese chi ero e seppe che ero la vedova una persona molto conosciuta e facoltosa di Ravenna e si informò sul mio patrimonio. Ora è chiaro, aveva un secondo fine. Si auto invitò a pranzo e si offrì di aiutarmi. Non avevo la macchina e mi propose di seguire le incombenze burocratiche per me».

Effettuava anche i pagamenti a suo nome?

«Per dire, andammo a pranzo e gli diedi il mio bancomat per pagare il conto. Non me lo restituì più, disse che tanto era più svelto di me. Essendo un giudice di pace pensavo fosse una persona onesta. Invece ha continuato a usarlo come se fosse suo».

Nella querela lei parla anche di immobili che le sono stati portati via...

«Con mio marito avevo una casa molto grande, su tre piani, a Ravenna. Mi ha convinta a donarla a un ragazzo che avevo aiutato negli studi (revocando il testamento nella quale l’avevo nominato erede, ndr), sostenendo che avrei dovuto prendere l’appartamento in cui ci troviamo ora, di cui si è intestato la nuda proprietà. Mi fece firmare un assegno da 300mila euro e se lo intestò lui. Anche il mio appartamento a Cesenatico, nel grattacielo, mi ha obbligato a intestarlo a suo figlio andando dal notaio».

Che cosa la legava tanto a lui?

«Non ero mai stata fregata da nessuno. Era carino, premuroso. Mi veniva a trovare ogni domenica, mi portava la Settimana Enigmistica, pagata col mio bancomat. Era come se fossi di famiglia. Nacque un nipotino e mi chiesero di fargli da madrina. Mi chiamava tutte le sere per salutarmi, per lui ero una nonna. Mi mandavano le foto. Poi improvvisamente gli hanno proibito di telefonarmi per convincermi a fare quello che mi chiedevano, tra le cose, nominarli miei eredi. Sapevano che mi avrebbero fatto male negandomi di vederli o sentirli».

Nessuno, tra altri suoi conoscenti, le ha mai detto nulla?

«Non mi consentiva di vedere nessuno. Per un periodo questa persona ha vissuto con me a Ravenna e a Cesenatico. Leggendo gli articoli sul giornale un medico mi ha riconosciuta e ha contattato altri miei conoscenti per informarli. Anche stamattina mi ha telefonato un’amica per raccontarmi che lui non concedeva a nessuno di farmi visita, diceva a chiunque che ero impegnata e proibiva loro di venire in casa».

E la barca?

«Erano tre soci, uno rinunciò e mi chiese di entrare, facendomi firmare una carta. Ma mi accorsi che non ero proprietaria, nonostante mi facesse pagare tasse, manutenzione e posto barca a Marina di Ravenna. Quando mi sono rifiutata di pagare si è messo a piangere».

Da quando ha iniziato a sospettare che avesse secondi fini?

«Mi ricoverarono per Covid e dato che non veniva a trovarmi gli chiesi almeno di portarmi il telefono, ma si rifiutò. E’ da lì che ho capito che non gliene fregava niente di me e ho contattato un avvocato di mia conoscenza. Almeno ora sono riuscita a farmi restituire il bancomat, scoprendo che ha speso tanti di quei soldi».

E’ riuscita a stimare quanto le ha portato via?

«Mi dicono circa mezzo milione. Comprava di tutto, vestiti, medicine, pagava interventi all’ospedale. Un giorno mi chiese 20mila euro per la sua ex moglie perché l’avrebbe cacciato via di casa... chissà poi se era vero».

Ora che è tornata a casa come sta?

«Non stavo bene in casa di riposo. Che brutto periodo, che esaurimento. Rivorrei indietro la mia bilancia antica e i quadri, come devo fare? Ora devo andare da uno psicologo, questa storia mi ha lasciato dentro un astio che non riesco proprio a superare».

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