«Mamma e papà sono gay», gli errori da evitare, parla lo psicologo

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RIMINI. «Mamma, sono gay». È una frase che spesso costa un grande sforzo ai giovani, al netto di una vita all’insegna dell’open mind, perché non sempre la reazione degli adulti a cui viene rivolta agevola il prosieguo del dialogo. C’è chi si sente spiazzato e chi spera di svegliarsi da quello che ritiene un incubo scoprendosi tutt’altro che scevro da pregiudizi. Ancora oggi purtroppo questa uscita allo scoperto si accompagna, secondo molti familiari, allo stigma di una vita infelice o quantomeno complicata oltre che al rischio di contrarre gravi malattie, che in realtà possono riguardare tutti. Al contempo sembrano andare in frantumi sogni e aspettative sui propri “bambini”. Cosa fare? Ne parliamo con il dottor Angelo Macchitella, psicologo e sessuologo clinico.

Dottore, perché è spesso difficile accettare il coming out di un figlio?

«La premessa è che le reazioni emotive dei genitori sono determinate dalle loro esperienze di vita: dal livello culturale alla fede religiosa passando per il vissuto personale e le aspettative sul futuro. Un figlio, in sostanza, rappresenta una parte di sé, perciò per molti è difficile accettare che abbia desideri differenti dai propri».

Come genitore, quali sono gli errori da evitare?

«In primis la negazione e il rifiuto dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere del figlio. Negare o minimizzare il coming out va di pari passo con la speranza che qualcosa cambi, come se fosse una moda passeggera. Non manca poi chi purtroppo associa all’omosessualità una sorta di devianza. Uno scenario, questo, che comporta un rischio reale. Una famiglia non accogliente che mostra disgusto verso la comunità LGBTQIA+ può infatti influenzare i figli spingendoli a interiorizzare pregiudizi omofobici, anche contro se stessi. Al contrario mettersi in ascolto, in modo empatico e non giudicante, è la vera chiave di volta in qualunque rapporto familiare. Talvolta si inculcano dei principi, quasi senza accorgersene ad esempio chiedendo alle figlie, sin da piccole, se hanno il fidanzatino».

Spesso i coetanei bullizzano (o cyberbullizzano) chi esce allo scoperto e la vittima tende a non denunciare l’accaduto: cosa fare?

«Bisogna investire di più nella formazione del corpo docenti su vari fronti, tra cui gli argomenti di stringente attualità, oltre a aumentare le ore dello sportello di ascolto, garantendo da parte dei professionisti coinvolti anche una preparazione in tema sessuologico».

Nei casi più gravi di bullismo, si può parlare di istigazione al suicidio?

«Sì. La denuncia contro qualsiasi episodio di omofobia, dall’esordio sempre più precoce che coincide ormai con la scuola primaria, è senz’altro una possibilità reale per scongiurare un simile epilogo. Resta il fatto che, come confermano molti studi, chi fa coming out ma ha genitori omofobi, rischia di sviluppare depressione che nei casi estremi può sfociare in ideazione suicidaria».

Se un figlio si sente nel corpo sbagliato, qual è il percorso di accompagnamento?

«In caso di incongruenza di genere, è bene che il giovane o la giovane possa parlare con qualcuno che appartenga alla rete familiare e amicale. È il primo passo per sentirsi meno soli e alienati. Dopodiché bisogna affidarsi a psicologi e psicoterapeuti ma anche a esperti in endocrinologia che, con il beneplacito di una relazione psicologica, possono avviare il percorso ormonale che fa riferimento a Bologna».

Rischi da scongiurare?

«Imbastire ricerche su Google aggiungendo confusione alla confusione o lasciare i minori in balia del lato oscuro del web».

Capita che i nonni accettino l’omosessualità dei nipoti con più naturalezza di genitori che pur si professano all’avanguardia. Perché?

«Spesso una mamma o un papà si sentono tristi perché avevano immaginato un futuro diverso per i discendenti, sognando di proseguire l’albero genealogico o di avere nipoti. Al contrario può capitare che i nonni saltino questo passaggio e rimanga solo l’amore».

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