Il drammatico racconto della medica gambettolese: “Attaccati dalla guardia libica mentre salvavamo i profughi” VIDEO

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Spari, in aria, in acqua, le voci concitate dei soccorritori che urlano «Stop shooting this is a rescue operation! Stop shooting!», smettete di sparare, è un’operazione di soccorso. Poi un gommone che si avvicina a velocità elevata contro i rhib, i gommoni dei soccorritori. È il panico e le persone cominciano a buttarsi in mare, mentre quelle già catturate dalla motovedetta libica vengono colpite violentemente. Sono i momenti carichi di tensione immortalati in un video che racconta l’attacco, successo alle 17 di giovedì, da parte della cosiddetta “guardia costiera” libica alla Mare Jonio, la nave di Mediterranea Saving Humans, l’unica della flotta civile battente bandiera italiana, tornata nel mare Mediterraneo centrale per la sua sedicesima missione di monitoraggio e soccorso in mare. Missione che si è conclusa venerdì, con lo sbarco a Pozzallo, il porto sicuro assegnato dall’autorità marittima italiana, di 56 persone di cui una donna e 55 uomini tra cui 2 minori non accompagnati. I più sono originari del Bangladesh, 6 dell’Egitto, 9 della Siria, uno del Camerun.

Un’azione illegale

A bordo come responsabile medica ancora una volta c’era anche Vanessa Guidi, gambettolese, vicepresidente e coordinatrice del team sanitario di Mediterranea Saving Humans. È sua la voce via radio che si sente a un certo punto del video e che in inglese dice ai libici che quella che stanno facendo è un’azione illegale, una violazione della legge internazionale, che quella in cui si trovavano era zona Sar europea.

«Un salvataggio difficilissimo»

«Erano capitati altri incontri ravvicinati in cui eravamo stati minacciati in precedenti missioni, ma mai nulla del genere - racconta Guidi -. È la prima volta che sparano così addosso a soccorritori civili. Quando si è avvicinata la vedetta libica a bordo c’erano già persone catturate, erano talmente vicini che anche a occhio nudo potevamo vedere che le tenevano inginocchiate e le frustavano. Quando li hanno visti arrivare, le persone sulla wooden boat (una imbarcazione di legno, ndr) che stavamo soccorrendo si sono agitate tantissimo e hanno cominciato a lanciarsi in acqua, e a un certo punto anche dalla vedetta chi poteva ha cominciato a buttarsi. È stato un soccorso difficilissimo».

Poi gli spari

«Per fortuna a molte delle persone erano già stati consegnati i giubbotti di salvataggio, a qualcuno è stato lanciato perché almeno avessero un supporto, altri si aggrappavano a quello che trovavano. A un certo punto - prosegue Guidi - hanno calato un altro mezzo più piccolo, un gommone con cui hanno cominciato a venirci addosso, passavano sulle persone, le picchiavano mentre erano in acqua. Abbiamo soccorso un ragazzo ventenne che aveva una brutta ferita alla testa causata dal calcio di un fucile». Mentre la tensione saliva, dalle minacce sono passati ai fatti: «Hanno cominciato a sparare, prima in aria e poi addosso a noi, i colpi sono arrivati a 30 centimetri dal nostro Rhib, è solo un caso se non ci hanno colpiti. Per fortuna nessuno dei soccorritori ha perso la calma e hanno completato il soccorso. Non ci risultano dispersi, ma sappiamo di almeno un paio di persone finite in acqua che sono state catturate dai libici».

In stato di shock

Dopo un’esperienza del genere anche una volta a bordo i naufraghi erano in un forte stato di agitazione: «Erano fradici, alcuni ustionati dal misto di carburante e acqua salata, molti avevano bevuto, tremavano, chi perché in stato di shock chi perché in ipotermia». Erano tutti partiti dalla Libia e sui corpi tanti portano i segni delle violenze subite là.

L’ennesima aggressione

Le scene immortalate nel video sono scioccanti ma non inusuali. Quanto accaduto giovedì in mare «testimonia ancora una volta l’aggressività della cosiddetta “guardia costiera” libica». Attacchi come questi con spari alle navi civili durante i soccorsi sono diventati più frequenti: «C’è uno sdoganamento della violenza. D’altra parte si sentono legittimati dai finanziamenti italiani e europei. E mentre le nostre istituzioni a loro non dicono niente, le navi della flotta civile vengono fermate, chi fa soccorso attenendosi alle leggi internazionali viene contestato, messo sotto processo».

Grazie alla società civile

Quella che si è conclusa venerdì a Pozzallo era la 16ª missione, partita a qualche giorno di distanza dalla conclusione della 15ª missione con cui Mediterranea ha tratto in salvo 172 migranti: 59 in collaborazione con la guardia costiera italiana e 113 sbarcate dalla Mare Jonio sempre a Pozzallo. A renderle possibile, una raccolta fondi che ha visto la mobilitazione di quella parte di società civile, tra cui anche tante realtà cesenati e romagnole, che crede che le persone in mare vanno salvate ed è orgogliosa di sapere che a farlo c’è anche una nave italiana.

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