Allarme Cisl: «Retribuzioni: l’Emilia corre, la Romagna arretra»

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  • 18 ottobre 2025

RIMINI. «Il nuovo “JP Geography Index 2025”, elaborato dall’Osservatorio JobPricing, analizza in profondità le dinamiche retributive su scala nazionale, rivelando forti squilibri anche all’interno delle singole regioni. L’Emilia-Romagna, nel suo insieme, si conferma tra le aree più solide del Paese con una Retribuzione Globale Annua (RGA) media di 32.953 euro, superiore alla media nazionale di 32.402 euro, e si posiziona al sesto posto nella classifica regionale italiana. Tuttavia, un’analisi provinciale evidenzia una chiara spaccatura interna: l’Emilia corre, la Romagna rallenta». A dirlo è la Cisl Romagna, in un comunicato diffuso oggi.

«Le province emiliane lungo la Via Emilia - da Piacenza a Bologna - si confermano trainanti per l’economia regionale. Bologna è la prima della regione e sesta in Italia con una RGA di 34.433 euro, seguita da Piacenza (33.922 euro), Parma (33.909 euro), Modena (33.385 euro) e Reggio Emilia (33.235 euro). Questi territori beneficiano di un tessuto industriale avanzato, forti investimenti in innovazione e una buona tenuta del settore dei servizi. Situazione ben diversa per le province della Romagna, dove i dati mostrano un chiaro trend di arretramento retributivo. Ravenna si attesta a 31.689 euro, perdendo due posizioni e scendendo al 36° posto nazionale. Rimini è in forte calo: perde 13 posizioni, precipitando al 68° posto con una RGA media di 29.542 euro, ben al di sotto della media regionale e nazionale. Forlì-Cesena si ferma a 29.398 euro, al 71° posto, con una perdita di tre posizioni rispetto all’anno precedente».

«I dati del JP Geography Index 2025 sono un monito per la Romagna - commenta il Segretario Generale CISL Romagna, Francesco Marinelli -. L’arretramento delle nostre province, che rappresentano una parte significativa del territorio dell’Emilia-Romagna, mette in luce la necessità di un’analisi più approfondita delle cause economiche e sociali che sottendono a questi numeri. Il futuro delle retribuzioni in Romagna dipenderà dalla capacità dei suoi settori economici di evolversi, di diversificare l’offerta di lavoro e di creare opportunità che possano generare salari più competitivi. Solo così si potrà garantire che la prosperità della Romagna sia un’opportunità per tutti i suoi cittadini».

«Non possiamo non guardare in faccia la realtà: questo calo retributivo che sta affliggendo da anni la Romagna non è affatto accidentale - continua Marinelli -. Al contrario, è la conseguenza di una serie di criticità strutturali che sono sotto gli occhi di tutti. Innanzitutto, parliamo della precarizzazione e della stagionalità del lavoro, un problema che si fa sentire in modo particolare nel settore turistico e agricolo. Quando un modello si basa prevalentemente su contratti a termine e bassi livelli salariali, non può sostenere una crescita retributiva duratura nel tempo. È una matematica che non funziona. A questo si aggiunge la crisi in atto in settori chiave per il territorio come il manifatturiero in genere, che sta subendo forti contraccolpi economici e occupazionali, aggravando ulteriormente il quadro retributivo e sociale della Romagna».

Il segretario CISL punta il dito anche sulla mancanza di visione industriale nel lungo periodo. «Un altro problema centrale è la mancanza di diversificazione economica. Pensate alle province lungo la Via Emilia, come Bologna, Parma o Reggio Emilia: lì si è investito in settori ad alto valore aggiunto, come l’automotive, la meccanica di precisione, la tecnologia. In Romagna, invece, questi investimenti sono stati insufficienti. Questo ci ha reso più vulnerabili e meno competitivi».

Marinelli evidenzia infine il tema della contrattazione aziendale, spesso assente o debole, che incide direttamente sulla capacità dei lavoratori di ottenere retribuzioni adeguate. «Un altro fattore cruciale è la contrattazione di secondo livello. Dove questa è debole o inesistente, non si riescono a garantire quegli incrementi salariali che sarebbero necessari per stare al passo con il costo della vita e con la produttività. Il risultato è un arretramento che si fa sentire direttamente nelle tasche dei lavoratori».

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