"Hokuspokus", Familie Flöz al Bonci si toglie la maschera

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Per la prima volta al teatro Bonci di Cesena arriva una compagnia che in oltre venticinque di carriera è stata applaudita in 43 nazioni del mondo. È la compagnia tedesca Familie Flöz, che si presenta in Romagna con la prima nazionale del nuovo spettacolo Hokuspokus, in scena sabato 7 alle 21 e domenica 8 gennaio alle 16 (il 7 febbraio replica al Teatro della Regina di Cattolica).

La caratteristica del gruppo è l’uso delle maschere in scena, che obbligano a fare leva su di un teatro fisico, non di parola.

Quella diFamilie Flöz è una forma di teatro di figura contemporaneo che si completa con musica, canto, suoni. Dove i creatori diventano personaggi e viceversa. In Hokuspokus, novità, la compagnia per la prima volta si toglie le maschere, per poi re indossarle, in un cava e metti che accentua il rapporto tra attori e personaggi. Il tutto sul tema della Genesi, della Creazione e in particolare della prima famiglia dell’umanità. Il tedesco Hajo Schuler, cofondatore di Familie Flöz racconta il percorso.

Come nasce, Hajo, la sua Familie Flöz?

«Il nucleo si è incontrato alla Folkwang University of the Arts di Essen, scuola famosa per la formazione nella danza e la fama che le diede Pina Bausch. Lì c’è un piccolo dipartimento di Teatro fisico dove cominciammo. Come didattica formativa ci furono portate delle maschere che ci diedero una forma espressiva che non conoscevamo. In me provocarono anche il desiderio di realizzarne di mie, per raccontare un teatro di oggi. A Essen cominciammo in quattro, oggi a Berlino siamo una trentina».

La maschera è diventata da allora l’elemento distintivo del vostro teatro?

«Sì, anche se non l’abbiamo inventata, da duemila anni la gente fa teatro con la maschera, noi abbiamo provato a darle vita nuova in stile e lingua creando nuovi spettacoli. È stato importante l’incontro con lo svizzero Pierre Byland, insegnante di clown (scuola di Jacques Lecoq), di grande ispirazione per la combinazione maschera e clown dei nostri lavori che, al centro, hanno sempre movimento e immagine, musica più che parola».

Perché per recitare prediligete il linguaggio del corpo alla parola?

«Con la parola è facile mentire, col corpo è quasi impossibile perché siamo specialisti nel leggerlo. Ciò avviene perché il corpo è molto più vecchio e profondo della parola. Utilizzando la maschera, e dunque togliendo un volto, diamo la possibilità di investigare e di leggere la storia nei corpi. L’immaginazione del pubblico può essere più attiva rispetto all’ascolto di parola, che è più esplicita e specifica. Ci fa anche capire che il teatro succede nella immaginazione, nella fantasia del pubblico, non sul palco».

Cosa racconta “Hokuspokus”?

«Il tema di riferimento è la Genesi e l’idea di creare la prima famiglia dell’umanità. Abbiamo attinto dai racconti della Bibbia e di altre culture. È un tema che ci spinge a chiederci chi ha il potere, se possiamo decidere della nostra vita o se c’è un destino. Domanda che anche nel gioco del teatro ci poniamo, nel rapporto fra attore/creatore e personaggio, chiedendoci se quest’ultimo ha una vita propria. Effetti sonori al microfono, video, disegni animati, musica dal vivo e canto originali creano l’ambientazione, 6 gli artisti sul palco ma molti i cambiamenti».

Quale altra novità presentate in questo spettacolo?

«Da anni ci interessava la possibilità di toglierci la maschera sul palco. In Hokuspokus abbiamo trovato una giustificazione per farlo. Questo togliere e rimettere la maschera è un elemento nuovo; da un lato ci sono i creatori/attori dei personaggi; dall’altro i personaggi. Ci chiediamo pure se storie come quelle di Bibbia e Genesi hanno ancora un potere su di noi; se queste storie, così antiche e fondamentali su religione, civilizzazione, società, hanno ancora un valore».

Perché questo titolo?

«Ci ha interessato l’ambiguità della parola di cui non è chiara l’origine. Una possibile, non confermata, è che derivi dal canone latino “hoc est enim corpus meum” (questo è il mio corpo) pronunciata durante la messa. Frase che il popolo semplice e incolto avrebbe potuto trasformare in Hokuspokus».

Siete una “famiglia” di molti paesi diversi, perché avete scelto Berlino?

«Nel 2001, quando vi arrivammo da Essen, il Muro era caduto da poco, Berlino era una città interessante e facile per cominciare un lavoro artistico, perché luogo che ancora si stava cercando. Le nostre diverse nazionalità hanno rappresentato un altro motivo importante per creare. Procediamo come un collettivo dove ognuno può essere attore e autore. Io nasco attore e creatore di maschere, ma Hokuskpokus è la mia seconda regia».

Info: 0547 355959

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