«Una vita spesa per allargare l’orizzonte, mentre gli altri disegnavano confini». Dopo 34 anni nella Procura di Rimini, il magistrato Paolo Gengarelli andrà in pensione il prossimo 30 giugno. Nato a Pescara 68 anni fa da padre abruzzese e madre romagnola doc, Gengarelli vive a Rimini dall’età di 3 anni. Laureato all’Università di Bologna il 26 giugno del 1978, dopo qualche tempo trascorso in banca, è divenuto pretore nel 1984 a Porretta Terme in provincia di Bologna, tornando a Rimini nel 1989 in veste di pubblico ministero.
Perché la scelta della giurisprudenza?
«All’università avrei voluto seguire qualcosa di diverso, ad esempio matematica, solo che mio padre riteneva che con una laurea del genere non si andava da nessuna parte, salvo finire insegnanti a 300mila lire al mese. Nell’ultimo giorno utile, ho scelto per esclusione perché non sapevo cosa fare. Al secondo anno però avevo le idee chiarissime: avrei fatto il magistrato, in particolare il pretore o il pubblico ministero».
Dopo tanti casi, che idea si è fatto dell’animo umano?
«Non scorderò quelle persone che, seppur condannate, mi hanno riservato attestazioni di stima. C’è chi mi ha stretto la mano dopo la condanna, comprendendo che avevo svolto il mio dovere. Ho capito che anche se si sbaglia, ci si può sempre ravvedere. Un insegnamento fondamentale che è giunto dal basso».
Quali indagini l’hanno colpita di più?
«L’indagine che mi porterò sempre dietro è l’ultima, quella incentrata sui bonus dell’edilizia: è stato allucinante rendersi conto con quanta semplicità sia possibile truffare lo Stato, è stato il primo passaggio per scoprire una cornucopia che non finisce mai di stupire. Ma non solo. Rammento anche un cold case risolto dopo 17 anni, ossia il cosiddetto omicidio dei pesciolini rossi in vicolo Santa Chiara. Ad uccidere un 38enne, nel 1997, lasciando intorno a lui un lago di sangue, vestiti alla rinfusa e appunto i suoi pesci rossi, era stato un compagno occasionale che poi ha confessato ed è stato condannato in via definitiva. Ultimo, ma non per importanza, l’omicidio consumato in viale Ceccarini, il 20 agosto del 1993. Uno dei primi casi in cui si è accertata l’identità del soggetto tramite la prova del Dna. C’era un parrucchino da cui anni dopo sono stati recuperati tre capelli arrivando all’identificazione del responsabile, poi condannato all’ergastolo».
Questo mestiere toglie qualcosa alla normalità quotidiana?
«Io direi che aggiunge tanto, a partire dalla conoscenza delle vite altrui che talvolta lascia allibiti perché anche nelle pieghe di famiglie insospettabili si annidano violenze indicibili. Non avrei potuto pensare di far qualcosa di diverso perché ho imparato veramente tanto: la tolleranza, il senso della giustizia e anche la pietà. Dalla mia professione, che ha aggiunto molti sentimenti alle mie corde, ho sempre e solo ricevuto. E ogni giorno ero pronto a farmi insegnare qualcosa di diverso, tant’è che già dopo due settimane di ferie sentivo il bisogno di ritornare a una quotidianità che non è mai stata pesante perché nonostante questa sia una professione impegnativa, piena di decisioni anche difficili da prendere subito, dà adrenalina positiva tutti i giorni».
Qual è lo stato di salute e l’efficacia degli strumenti di cui oggi dispone la magistratura?
«Qui vorrei avvalermi della facoltà di non rispondere (ride). Fino a pochi anni fa mai avrei pensato di andare in pensione prima della scadenza naturale. Avverto però che il sistema col tempo si sia andato deteriorando e per la verità anch’io non sono più giovane e non ho più concreti stimoli: quelli che mi hanno fatto sognare una giustizia sostanziale, pragmatica e anche un po’ romantica che oggi non esiste più».
Mai pensato di scrivere un libro?
«Decisamente sì, anche più di uno. Mi fermo qui per non spoilerare».
A cosa si dedicherà adesso?
«Innanzitutto al nuoto che pratico ogni giorno salvo la domenica, macinando due chilometri e mezzo alla volta. Di sicuro mi darò anche ai viaggi perché mi piace molto scoprire posti nuovi, dedicandomi in parallelo alla lettura, in quanto divoratore onnivoro di volumi. Riesco a finire anche libri noiosi come le 822 pagine di “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi e memorizzo i libri letti sia in un’app sia in un file nelle note dell’I-phone. Quindi so che ho appena finito di leggere il 46esimo libro da inizio 2023. Sono un amante della carta e, non ridete, annuso i libri prima di acquistarli. Le mie letture spaziano da un genere all’altro e i miei autori preferiti sono Georges Simenon, Andrea Camilleri e di recente Antonio Manzini».
Cosa consiglierebbe a un giovane?
«Faticoso dare consigli ma direi di studiare, tenendo presente che forse il futuro risiede nelle materie scientifiche e in quelle discipline che favoriscono l’internazionalizzazione delle conoscenze».
Paolo Gengarelli, una vita, spesa per…
«Una vita spesa per migliorare questa città, ma anche per allargare l’orizzonte, mentre gli altri disegnavano i confini delle libertà altrui».