Hikikomori, 17enne autorecluso dentro casa dopo il bullismo a scuola

SAN MAURO PASCOLI. «È un ragazzo che ha quasi 18 anni e che non ha completato il percorso scolastico. Ha subito pesanti episodi di bullismo e non ha amici. Sono convinta che riuscirà ad uscire dal suo isolamento, ma gli anni che ha perso non torneranno mai indietro».
A parlare è la mamma di un ragazzo di 17 anni che da un paio di anni ha scelto di isolarsi dal mondo entro i confini della sua abitazione. Niente scuola, niente amici. L’unico contatto con il mondo esterno, al di là dei familiari, è quello attraverso la rete. Il ritmo sonno-veglia è capovolto: dorme di giorno ed è sveglio di notte.
Il figlio della donna che ha scelto di raccontare la sua storia, rimanendo anonima, è un cosiddetto “Hikikomori”, un ragazzo che ha messo in atto quei comportamenti evidenziati inizialmente in Giappone e poi portati alla luce anche in Occidente.

«Si sa ancora troppo poco - commenta la mamma del ragazzo - e i servizi sociali sono ancora troppo poco attrezzati. Se non fosse stato per il gruppo di mutuo aiuto Hikikomori Italia genitori di Forlì cui mi sono rivolta, non sarei neppure riuscita a instaurare un dialogo con lui».

Come ha capito che suo figlio è un Hikikomori?
Non l’ho capito io, se ne è reso conto lui stesso. Una notte mi ha svegliato facendomi vedere un video in cui si parlava di questo fenomeno e mi ha detto: «Mamma, mi riconosco in quasi tutto quello che viene detto». Allora ho iniziato a fare delle verifiche, e ho contattato Marco Crepaldi, che allora non conoscevo, e che ho poi scoperto essere il massimo esperto in Italia sul tema. È stata una rivoluzione anche per me.

Come si comporta suo figlio?
Rifiuta totalmente di uscire di casa, non frequenta nessuno, ha cancellato i numeri di telefono degli ex compagni di classe, dorme di giorno e vive di notte. Non è facile capire quali siano i suoi pensieri. Di certo, c’è questa grande sofferenza che respiro nell’aria.

Quando è iniziato il suo ritiro?
Credo che tutto abbia avuto inizio il primo anno delle superiori. Frequentava un istituto che offriva anche il servizio di convitto e qui, proprio durante la notte, è stato vittima di pesantissimi episodi di bullismo e di violenze fisiche. Noi lo abbiamo scoperto solo in aprile, quando mio figlio ha trovato la forza e il coraggio di confidarsi con un’insegnante che mi ha subito chiamato. È stato terribile essere messa al corrente di quella realtà. Avevo notato che tornava a casa pieno di lividi, ma la scuola giustificava questo fatto con le partite di rugby, e io ci avevo creduto. Durante l’anno il suo rendimento è crollato, da voti discreti è passato ai 3, e i professori lo sgridavano perché spesso si addormentava in classe. In realtà, accadeva perché di notte non lo lasciavano in pace. Comunque, nonostante tutto ciò, lui decise di iscriversi in quella scuola anche l’anno successivo, cambiando classe e recuperando i debiti formativi, nonostante io fossi contraria. Ma bastò un mese del secondo anno per fargli decidere di non andare più a scuola. Anche perché dopo aver denunciato quello che era successo, le prese in giro erano aumentate e per lui non era più sostenibile. Stava così male che prima di prendere l’autobus spesso vomitava.

Come ha reagito al ritiro sociale di suo figlio?
Io non avevo ancora capito cosa stesse succedendo. Però vedevo la sua profonda sofferenza, avevo visto che aveva cancellato tutti i numeri di telefono dei suoi compagni. Non si faceva trovare da nessuno ed evitava tutti i contatti con il mondo esterno. Io ero arrabbiata, lo vedevo come un “arreso”, mi dava fastidio. Mi sembrava inaccettabile, mi pareva inconcepibile che non andasse a scuola. Eppure non c’è stato verso di farlo tornare a frequentare le lezioni, neppure in un’altra scuola. E devo dire con amarezza che dalla scuola non ho avuto dimostrazioni di interesse. Mio figlio era ancora sotto obbligo scolastico, eppure non ebbi contatti dagli insegnanti. Ai servizi sociali, infatti, mi ci sono rivolta autonomamente.

Vede la salvezza per suo figlio?
Sì, grazie al gruppo di mutuo aiuto. Prima di conoscere quest’associazione credevo che fosse una cosa “da marziani” quella che stava succedendo. Ma poi grazie a loro ho scoperto che altre persone vivono questo dramma e mi hanno insegnato il giusto modo di rapportarmi a lui, creando un’alleanza e instaurando un dialogo più profondo. Ho capito il dolore che ha dentro, e in poche settimane la situazione si è evoluta in positivo. Ora ha anche ammesso la presenza di un educatore in casa. Sono sicura che prima o poi riuscirà ad uscirne. So per certo che alcuni ragazzi ce l’hanno fatta.

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