Guido Viale, Lotta Continua, una storia italiana che finì a Rimini

Gli anni di piombo: ne parli a un ventenne, e non sa neppure lontanamente di cosa si tratti. Eppure hanno segnato storie individuali e la vita di un Paese, l’Italia, così maldestro nel fare i conti con il proprio passato.
E sono ferite di carne viva: tanto che l’annuncio sui social della pubblicazione, lo scorso 12 gennaio, del libro di Guido Viale dal titolo Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta Continua per l’editore riminese Massimo Roccaforte con la sua Interno4, ha esaurito in tre giorni, solo con gli ordini, la prima tiratura di mille copie; esaurita subito anche la prima ristampa di altre mille, e ulteriori 2mila vengono ripubblicate in questi giorni, mentre sono decine le richieste di organizzare una presentazione in tutta Italia.
Viale, come mai questo libro, e proprio ora?
«In realtà sarebbe dovuto uscire l’anno scorso, nel 50° anniversario dell’omicidio di Luigi Calabresi – risponde Guido Viale, giornalista e scrittore, responsabile in progetti di sviluppo locale, cooperazione internazionale e tutela dell’ambiente, nonché ex militante del movimento –. L’idea era dare una risposta alla campagna di denigrazione contro Lotta Continua i cui dirigenti erano stati accusati di essere i mandanti di quell’assassinio, un’equazione in cui venivamo apparentati alle Brigate Rosse come protagonisti del terrorismo degli anni Settanta».
Il libro è anche una ricostruzione storica di quegli anni convulsi.
«Una parte riepiloga i 12 processi contro Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri attraverso articoli scritti all’epoca da me, che come militante ero coinvolto in quelle vicende. Un’altra parte è quella della “vendetta”: alcuni organi dello Stato fecero in modo che gli anni di galera che non erano riusciti a infliggere a Valpreda, fossero scontati da Sofri come presunto mandante dell’omicidio di Calabresi, con il risultato di criminalizzare nel loro complesso tutti i movimenti degli anni Settanta che si erano impegnati di fatto nella denuncia degli autori e dei mandanti della strage di piazza Fontana e dell’omicidio di Giuseppe Pinelli».
Nel libro però c’è anche altro.
«Infatti non sarebbe stato sufficiente per dare un quadro organico scrivere solo dei processi e di questo broglio, quindi ho voluto ricordare anche i tanti elementi positivi, l’origine, le lotte condotte insieme agli operai della Fiat e agli studenti».
Una storia torinese, quindi?
«In realtà una storia italiana, anche se non sono molte le opere che ne parlano se non per cenni. Strano, invece, che l’informazione che è arrivata al pubblico sia che Lotta Continua fosse un’organizzazione di assassini! Neanche il passare del tempo ha scalfito questa immagine: così i ragazzi di oggi sono convinti che la strage di Brescia fu compiuta dalle Brigate Rosse, e tutti noi non fummo altro che dei terroristi!».
Ma gli ex militanti non ci stanno.
«E infatti all’annuncio dell’uscita del libro c’è stato grandissimo interesse e centinaia di interazioni sui social. Molti compagni hanno chiesto di poterlo presentare nelle proprie città, e alcune date sono già fissate: siamo partiti il 13 a Torino, saremo il 20 a Milano al teatro Parenti con Gad Lerner, il 29 a Roma e all’inizio di febbraio a Bologna. È stato un po’ come se titolo e copertina, visto che il volume non era ancora stato pubblicato, avessero risvegliato l’orgoglio dei militanti e la volontà di rivendicare un ruolo che la ricostruzione a posteriori aveva tolto al movimento, attribuendogliene uno ben diverso. Dal canto mio ho solo cercato di dare un contributo per rovesciare quell’immagine…».
Stupisce che nei confronti di questa “vulgata” all’epoca non si fossero poi alzate molte voci.
«Nella criminalizzazione dei movimenti di sinistra, la destra si è trovata concorde con il Partito Comunista e le sue successive versioni. Il Pci dal canto suo si è sforzato di liberarsi dall’accusa di costituire una copertura per il terrorismo di sinistra, magari ha persino tratto frutti dalle lotte politiche e sociali portate avanti da noi, ma non si è mai opposto alla campagna di criminalizzazione».
Ma quel fraintendimento non fu anche causato da un certo snobismo ideologico da parte di Lotta Continua?
«Il contrario: il movimento si sviluppò perché era il più aperto e con una grande disposizione all’ascolto: alle istanze degli studenti, degli operai, tanto che non avevamo dirigenti, una dottrina o un’ideologia come altri, all’epoca. Poi con gli anni diversi gruppi si fusero, e forse un atteggiamento meno aperto si diffuse anche fra noi».
E forse causò anche la fine di LC: ricordiamo che la crisi definitiva, nel novembre 1976 dopo il congresso di Rimini, venne dopo la profonda spaccatura con il movimento delle donne.
«Lotta Continua ha vissuto una diaspora fuori dall’ordinario, alcuni sono confluiti nel berlusconismo, altri si sono legati a Renzi e oggi si verifica un’altra divisione fra i compagni per la guerra fra Ucraina e Russia. La caratteristica saliente però era e resta il fattore umano: la simpatia per le rivendicazioni delle fabbriche e delle scuole, la motivazione ad agire, la ribellione… Questi, non una dottrina da distribuire, erano i collanti, una vicinanza fra esseri umani che ancora, nonostante le differenze e gli anni, ci tiene uniti, amici e vicini».

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