Gli artisti e la sciarpa nella pittura

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La sciarpa è un complemento di abbigliamento ampiamente impiegato dagli artisti, siano essi attori, scrittori, musicisti, cantanti, ballerini o altri protagonisti dello spettacolo e della cultura in generale. Per molti è un vezzo per enfatizzare il proprio volto nei suoi aspetti, espressivi, seducenti o altro, grazie al gioco dei volumi e specialmente dei colori che hanno un ruolo determinante per creare un insieme intenso e fascinoso. Forse la sciarpa più famosa è quella rossa, colore notoriamente donante, che incornicia il volto ispirato del popolare chansonnier francese Aristide Bruant ritratto alla fine dell’Ottocento dall’amico, l’insuperabile autore di affiches, Henri de Toulouse-Lautrec. Oggi va ricordata quella, sempre rossa, al collo di Federico Fellini nel manifesto del film del 2013 “Che strano chiamarsi Federico” di Ettore Scola, magistralmente disegnato dallo stesso regista.

Umberto Folli (Massa Lombarda 1919-1989), indimenticato insegnante all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, dipinge negli anni della guerra “Autoritratto da giovane”. La sciarpa rossa, colore che ricorre spesso nella sua ritrattistica, il cappello giallo e il fondo scuro creano aree cromatiche sgargianti, all’interno delle quali risalta l’intensa espressività del viso dell’artista, anticipando il novecentismo di grande qualità che caratterizza la sua pittura futura.

Diversamente, Gino Ravaioli (Rimini 1895-1982), primo insegnante di disegno di un giovanissimo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate che diventerà René Gruau, nel 1931 si ritrae con il volto pensoso, lo sguardo tristemente rivolto all’osservatore e parte del busto che emergono dal fondo nero della tela. Un concentrato formidabile di gigioneria teatrale impossibile da realizzare senza il geniale ornamento della lunga sciarpa bianca che illumina tutta l’opera.

Giuseppe Piombini (Bologna 1908 – Rimini 1990) è il protagonista con l’amico Celso Miselli della svolta informale che si realizza nel panorama artistico riminese degli anni 50 del secolo scorso. La sua ricerca artistica si focalizza sui valori tonali del colore con una attrazione maniacale per tutte le declinazioni del blu che caratterizza gran parte della sua produzione. È il suo colore preferito anche nell’abbigliamento, come rivela l’autoritratto del 1956, donato dalla famiglia dell’artista nel 2007 al Museo della Città di Rimini.

Sempre il blu, questa volta intenso, viene scelto da Demos Bonini (Rimini 1915-1991) per evocare in modo eccellente il malessere e il profondo sconforto che lo affliggono quando si ritrae in quel “giugno tragico” del 1943. Il viso segnato, i lineamenti affilati, il cappello a larga tesa, lo sguardo malinconico, le tonalità e il segno, richiamano l’espressionismo nordico, forse mutuato con il reggiano, fiorentino d’adozione, Giovanni Costetti. Il paesaggio che si intravede è la vallata del Marecchia dalle parti di Ponte Santa Maria Maddalena che ha visto Bonini insegnante di disegno a Novafeltria in quegli anni.

Decisamente situazionale invece è la voluminosa sciarpa fantasia indossata da Sante Ghinassi (Ravenna, 1924 – Imola, 2000) associata al colbacco e alla cattedrale moscovita di San Basilio sullo sfondo di uno dei suoi tanti autoritratti. È il freddo che motiva la scelta ed è più il compiacimento tecnico che la vanità a guidare la sua mano. Iperrealista prezioso e sofisticato nella ritrattistica, che pratica dipingendo su ceramica, in questa occasione raggiunge i vertici più alti della sua arte.

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