Gli amarcord degli alpini riminesi: "Quando curavo 250 muli"

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«Siamo divertenti, allegri. Anche un po’ caciaroni. Ma quando c’è bisogno di aiuto siamo i primi ad intervenire». Gli alpini romagnoli descrivono le caratteristiche tipiche delle penne nere che «per certi versi, rispecchiano l’animo popolare riminese: goliardico, ma anche accogliente e solidale». Commenta Maverich Guidi, alpino riccionese: «Queste adunate sono l’essenza di quello che possiamo definire senso di appartenenza e sentimento di fratellanza. Ogni anno ritrovi vecchi amici, commilitoni che avevi perso di vista e che, magari, dopo decenni rivedi. Un po’ invecchiati, ma sempre in grande forma. Io, ad esempio, grazie a questa adunata, di amici ne ho rivisti diversi. E uno, un vero e proprio fratello per me, adesso è ospite a casa. Pensate che abbiamo fatto il militare, negli alpini naturalmente, nel ‘79-‘80, e il legame non si è mai spento. Le penne nere sono così: quando diventi un amico, lo resti per sempre, anche se non ti vedi per anni». E l’amico genovese, Massimo Bevilacqua, risponde: «Ho partecipato a diverse adunate: Trento, Asti, Treviso, Udine, Reggio Emilia, Bolzano, Milano. Ma quando è stata scelta Rimini, ho detto: bene, vado a casa da mio “fratello”. Poi col covid l’appuntamento è slittato per due anni. Ed ora, eccomi qui. Finalmente. Cosa dire? Conoscendo l’accoglienza dei romagnoli non avevo dubbi su cosa avrei trovato e provato. Ma, stando qui, mi rendo conto ancora di più del calore di questa gente e della bellezza che racchiude questa iniziativa. Certo, se ripenso all’ultima, quella di Milano, non riesco nemmeno a fare un paragone. Lì, la freddezza si toccava con mano. Troppo dispersiva la città, meglio dire la metropoli. Qui, invece, il calore, ti arriva forte, dritto al cuore. Merito dei riminesi, ovviamente. E poi è risaputo: le piccole città danno sempre il meglio di sé in questi frangenti».

E il riminese Luciano Mellini Sforza aggiunge: «Anche a me l’adunata di Milano non ha lasciato granché dentro. A livello di accoglienza e di calore umano, intendo. Al contrario di altri appuntamenti, tipo Brescia o L’Aquila, dove ci siamo sentiti, un po’ tutti, come a casa. Per non parlare, poi, di Rimini, che, a detta di tutti, credo possa essere inserita tra le adunate più belle e partecipate di tutti i tempi. Basti pensare che a Milano non c’erano nemmeno le bandiere tricolori ad addobbare edifici e abitazioni. Guardate qui intorno, invece».

Fa notare Guidi: «Questa adunata l’abbiamo desiderata tutti. Con forza. Dopo due anni di stop-covid non vedevamo l’ora di ritrovarci e abbracciarci. E così è stato. Non so quanti potremmo essere, 450 mila, 500 mila, una cosa è certa: siamo tantissimi. Nonostante il maltempo. Vi dico solo questo: i pullman urbani sono sempre pieni di alpini, perfino il Metromare viaggia col tutto esaurito».

Amarcord

Alpini e vecchi ricordi. Come quelli del veterinario Bruno Badaloni, marchigiano di Falconara, riminese di adozione, assente “giustificato” all’adunata: «Ho fatto il militare, nel 1963, a Tarvisio, in forza al comando alpini di Belluno. E svolgevo il servizio veterinario: il mio compito era quello di assistere i muli e curarli in caso di malattie. Sapete quanti ce n’erano? Oltre 250. Ora è cambiato tutto e i muli, che fungevano da trasporto armi e merci, sono stati sostituiti da mezzi meccanici molto sofisticati. E quelli rimasti sono solo di rappresentanza. Ricordo, a proposito di muli, che, sempre durante il servizio militare, venni inviato, insieme ad un commilitone, a bordo di una jeep, in montagna, per simulare un attacco terroristico nemico ad una batteria alpina dotata, appunto, di muli. Sparammo dei colpi in aria e gli animali, innervositi, cominciarono a sparpagliarsi in zona, richiamando, così, l’attenzione dei militari. Dovemmo fuggire per non rischiare il peggio». Assente “giustificato” dicevamo. «E non sapete il dispiacere che provo – aggiunge Badaloni -. Ma l’età mi consiglia a restare a casa. Pensate che quelli dell’Ana Rimini volevano venirmi a prendere per farmi partecipare alla grande sfilata di domani (oggi, ndr). A bordo di una camionetta. Purtroppo ho dovuto rinunciare».

Penne nere riminesi

Ma è così tanta la passione degli alpini riminesi per il loro “gruppo” («con Sergio Giordano e Guido Forcellini ho contribuito a rifondarlo nel 2014; e di questo ne vado fiero», sottolinea Arturo Pane, friulano trapiantato a Rimini da una vita), che Guido Forcellini ha cercato così tanto che è riuscito a trovare il programma di una delle prime adunate organizzate dalle penne nere in Italia. Datata 10 aprile 1933. «E dove si è svolta questa parata? – interroga orgoglioso Forcellini -, a Rimini. In tre fogli (due pubblicati a fianco, ndr) ci sono tutte le informazioni utili fornite ai partecipanti. Diciamo che è un reperto storico di enorme valore per noi. Comunque, per tornare all’oggi, le manifestazioni, le adunate, le sfilate, riescono solo se c’è la partecipazione diretta della gente. E a Rimini questo è avvenuto. Il pienone lo dimostra. Non c’è uno spazio cittadino, dal centro storico fino al mare, dove non ci sia un gruppo di alpini che gira, che ride, che si diverte, che scherza con la gente. Ci sono perfino dei gruppi musicali, delle fanfare, improvvisate. E lasciatemelo dire: dopo due anni di pandemia, ce lo voleva proprio».

Gli alpini ci sono

Fa notare Paolo Montanari: «Gli alpini sono così: ridono, si divertono, bevono del buon vino e della buona grappa, cantano, ma poi quando si tratta di lavorare non si tirano indietro. E quando c’è un’emergenza, un terremoto, un’alluvione, sono sempre i primi ad arrivare ed aiutare tutti». E a proposito di grappa, ad Arturo Pane torna alla memoria un momento della sua giovinezza: «Sono di Udine, e ricordo quando, credo fossimo tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70, mamma, in occasione di un’adunata, mi portò con sé, bottiglia di grappa in mano, a dar da bere agli alpini. Nessuno che rifiutasse. E mi dicevano: piccolino, io avevo appena 10 anni, credo, vieni qui, fai un sorso insieme a noi. E ridevano e cantavano. Questo sono gli alpini». Ma non manca un rimbrotto, un piccolo rimprovero, per quei riminesi che… «troppo caos, troppi disagi, troppe auto». A farlo è Giulio Rigon, veneto, ma da una vita a Rimini: «Sento persone che si lamentano perché il traffico è in tilt. Perché i bus sono pieni. Perché c’è troppa gente in giro. Perché troppi schiamazzi. Perché, perché, perché... ma questi non si rendono conto del movimento economico che creano gli alpini, tra alberghi esauriti e ristoranti e bar pieni? Possibile che queste persone non capiscano che questo fiume di penne nere crea un indotto economico per tutti, anche per loro che, non essendo interessati direttamente, preferirebbero trascorrere un fine settimana di tranquillità? A certa gente non va bene mai niente. C’è sempre qualcosa su cui polemizzare».

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