La giusta distanza dentro di noi è la gentilezza che ci guida

Un metro tra un cliente e un altro. Nei bar come nei ristoranti. Niente strette di mani e zero baci. Scuole chiuse fino a metà marzo. Zone rosse e zone gialle. Il Governo ci chiede, anzi ci impone per decreto, una sorta di “giusta distanza”.
Ma è evidente che la “giusta distanza” che in queste ore proviamo a rispettare (ognuno a modo suo, ognuno come può) non è solo quella che ci separa da uno sconosciuto in mascherina ma è anche, anzi soprattutto, quella che dobbiamo trovare dentro di noi.

Scrive nel suo “decalogo contro la paura” il poeta Franco Arminio: «La nostra vocazione al consumo ora ci rende consumatori di paura e c’è il rischio che il panico diventi una forma di intrattenimento».
Proprio così: uno show del terrore, con il conto dei morti in sovraimpressione e una inflazione informativa che toglie alle parole ogni valore.
“La giusta distanza” del resto è anche il nome di un film del compianto Carlo Mazzacurati. Il titolo riprendeva un consiglio; era quello che dava un esperto capocronista a un giovanissimo reporter di un quotidiano locale: «Ricordati, ragazzo, sempre di mantenere una giusta distanza tra te e i fatti. Se ci facciamo sopraffare dalle emozioni siamo fritti».
Sì perché è evidente che una giusta distanza servirebbe anche a noi giornalisti. Ma non solo a noi. In questa terra di nessuno in cui ognuno ha un ruolo diverso (politico, medico, paziente, giornalista, lettore, figlio, genitore, imprenditore, insegnante) non ci resta allora che fare due cose: la prima è rispettare la scienza. La seconda è trovare qualcosa dentro di noi. Qualcosa che ci porti a trasformare l’imposizione di questa strana quarantena nazionale e un po’ nazionalpopolare - con gente che non la rispetta per andare a sciare sulle Dolomiti o a trovare i parenti ad Avellino - in una grande opportunità; magari per riscoprirsi migliori di quello che pensavamo.
Cosa può guidarci? Virologi a parte, mi pare che le cose più lucide in queste ore concitate le scrivano proprio i poeti. Che, non a caso, in tempi “normali”, sono considerati spesso i più folli.
Il poeta forlivese Davide Rondoni in un bell’articolo su L’Avvenire cita Dante e quella cosa che può portarci verso la “giusta distanza” la chiama semplicemente “gentilezza”.
«La gentilezza come aveva capito Dante, viene da una disposizione interiore – scrive Rondoni - da qualcosa che è naturale in noi ma se non la coltivi diminuisce, si sclerotizza, muore. La gentilezza coincide con un vivo senso del destino, cioè si è gentili quando ami e tratti bene qualcosa o qualcuno che non è tuo».
E noi cosa amiamo? Qualunque sia la risposta è il momento di coltivarla.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui