Giuseppe Chicchi "Era 'seduttivo'. Aveva la semplicità del vero gen

Spettacoli

Sindaco di Rimini negli anni Novanta, Giuseppe Chicchi nel 2011 ha pubblicato un volume autobiografico, La formazione (edizioni Capitani) in cui, tra l’altro, racconta i suoi incontri con Fellini. Chicchi, insieme a Maddalena Fellini, sorella del regista, è stato anche l’ideatore della Fondazione Fellini, l’istituzione che fino a qualche anno fa organizzava convegni, pubblicava studi e ricerche sul Maestro riminese e che ha acquistato centinaia di disegni e il “Libro dei sogni”.

Chicchi, come ha conosciuto Fellini?

«Era l’estate del 1992. Come accadeva da tempo, Federico si trovava per una breve vacanza estiva al Grand Hotel di Rimini. Pietro Arpesella, che gestiva l’albergo con classe indimenticabile, organizzò l’incontro nel giardino, davanti a un bicchiere di ottimo vino rosso. Fu un incontro apparentemente formale: il sindaco (cinefilo dilettante) incontrava il concittadino più illustre (genio del cinema). Ma c’era qualcosa in quell’uomo che andava oltre la formalità dell’occasione; se dovessi definire la sensazione che lasciava negli interlocutori, userei l’aggettivo “seduttivo”. Sentivi di essere coinvolto in qualcosa di non banale, percepivi la curiosità non superficiale per le persone, registravi la semplicità del genio».

In seguito ci furono altri incontri?

Nell’inverno successivo parlammo al telefono due o tre volte. Rosita Copioli l’aveva incontrato a Roma e mi aveva chiamato per riferire di uno stato di frustrazione per la difficoltà di avviare una nuova produzione. Avevo a mente il film di Pupi Avati Una gita scolastica che era stato coprodotto dalla Provincia di Bologna, proposi a Fellini qualcosa del genere ma con correttezza mi disse che prima di coinvolgere un ente pubblico avrebbe cercato un produttore privato serio. Poi andò a Los Angeles per l’Oscar alla carriera e in seguito a Zurigo per un intervento chirurgico. Scelse il Grand Hotel di Rimini per la convalescenza. Ai primi di agosto però fu colpito da un ictus e ricoverato all’ospedale Infermi di Rimini, dove fu ben curato, per poi essere trasferito all’ospedale San Giorgio di Ferrara per la riabilitazione. Prima di partire scrisse una lettera al sindaco».

Cosa le diceva in quella lettera?

«Fellini ringraziava la città per le cure che gli aveva prestato e per l’affetto dimostrato. Poi buttava lì il colpo di genio: “Insomma quando ho deciso di venire a passare la convalescenza a Rimini, ho avuto proprio un’ispirazione felice. E le prove di affetto, di solidarietà, sono state tantissime. Ho saputo anche che quando gli altoparlanti della Publiphono hanno annunciato sul litorale che i medici avevano sciolto la prognosi, molta gente in procinto di tuffarsi dai trampolini si è fermata a mezzaria ad applaudire”. C’è qualcosa di più felliniano di questa immagine?».

Lei poi andò a trovarlo a Ferrara...

«Sì, un paio di volte, sempre nel settembre del 1993. La prima volta gli chiesi, con qualche ammiccamento, che cosa gli avesse detto il commendator Barilla alla visione del famoso spot dei “rigatoni Barilla”. Ridemmo insieme per cinque minuti. Stava bene. Nei giorni successivi Pierluigi Bersani (allora presidente della Regione) mi telefonò chiedendomi se potevo organizzargli un incontro; ci andammo a fine settembre. Bersani gli portò in regalo un libro umoristico dell’Ottocento. Fellini ci ricevette seduto su una sedia a rotelle. Fu cordiale e simpatico per quanto permettessero le circostanze. Quando si cominciò a percepire il momento del commiato, Fellini chiamò un infermiere, si fece slacciare le cinghie della sedia e, aiutato, si alzò in piedi. Tese la mano a Bersani dicendo con enfasi: “Gran finale!”. Voleva dirci che stava riprendendosi, che poteva perfino esibirsi come al centro di una pista da circo».

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