Giulietta Masina, 100 anni da romagnola

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Per loro era e resta la zia Giulia. Sono i nipoti di Giulietta Masina a tramandare oggi con affetto immutato il ricordo della donna e dell’attrice nata il 22 febbraio di cento anni fa a San Giorgio di Piano, in provincia di Bologna. Attilio Masina, insieme alla cugina Simonetta e al cugino Roberto Tavanti, sono gli unici parenti diretti rimasti, dopo la morte alcuni anni fa della sorella dell’attrice, Mariolina. Attilio Masina, bancario, vive a Ferrara con moglie e figlie. Ci aiuta a ricostruire l’albero genealogico di famiglia. E dalla ricostruzione, spunta una sorpresa: le origini romagnole dei Masina. Ma andiamo con ordine. E partiamo da San Giorgio di Piano, paese una ventina di chilometri a nord di Bologna. Giulietta Masina nasce qui, il 22 febbraio del 1921, al numero civico 24 di corso Umberto I (oggi via Della Libertà 112). La madre Angela Flavia Pasqualini fa la maestra elementare ed è originaria di San Donà del Piave, nei pressi di Venezia. Il padre Gaetano (Tanino), di famiglia sangiorgese, è violinista e appassionato liutaio, lavora come cassiere nella fabbrica Montecatini della zona. Nel 1932, per esigenze lavorative, la famiglia Masina si trasferisce a Mestre, poi a Vicenza. A quell’epoca, Giulietta Masina vive già a Roma con la zia Giulia, sua madrina, rimasta vedova. A lei fu affidata dall’età di 4 anni. Nel frattempo i coniugi Masina ebbero altri tre figli: la secondogenita Eugenia e i gemelli Mario e Mariolina. Giulietta tornava in famiglia durante le vacanze estive.

Tra Emilia, Veneto e Lazio si muovono i Masina. E dunque la Romagna?

«Mio padre – racconta Attilio – mi raccontava che il nostro trisavolo era di Lugo di Romagna. Non sono sicuro di come si chiamasse. So solo che il bisnonno lo chiamavano “ad Nicola”, quindi presumo che il trisavolo di Lugo fosse tale Nicola Masina».

Quindi anche Giulietta Masina sarebbe a questo punto emiliana-romana e romagnola?

«Beh, così si può dire».

Che ricordi ha di sua zia Giulietta?

«Ho dei ricordi bellissimi. Lei era la primogenita e forse anche per compensare la lontananza vissuta nell’infanzia, ha sempre avuto all’interno della famiglia un ruolo quasi matriarcale. Si è sempre occupata di tutti noi».

Non deve essere stato facile per una bimba di appena quattro anni crescere lontano dai genitori, dalla famiglia d’origine…

«Andare a Roma è stata la sua fortuna, però è indubbio che ne abbia sofferto molto da piccola».

Com’era di carattere Giulietta?

«Aveva una energia pazzesca, contrariamente a quello che si potrebbe pensare per via del suo aspetto gracile e del sentimentalismo dei suoi personaggi. Aveva un carattere di ferro».

Com’era nella vita privata, fuori dai set, dalla casa?

«Era una grande appassionata di ogni forma d’arte, del teatro, dell’opera, della musica classica, ma anche della letteratura e amava molto andare a vedere mostre e musei. Ricordo ancora con piacere quando mi ha portato per la prima volta all’opera. Quando andavo a trovarla a Roma per prima cosa mi portava in libreria»

Sembra il ritratto di una donna molto attiva…

«Era instancabile, a Roma faceva camminate lunghissime, ci batteva tutti. Era molto religiosa e amava andare a piedi dalla sua abitazione vicino a piazza del Popolo fino a San Pietro: e noi a rotolarle dietro! Aveva un gran desiderio di vivere la vita al massimo. Tra le sue passioni c’erano anche i viaggi, cosa che Federico non amava e allora eravamo noi nipoti ad accompagnarla in giro per il mondo».

C’è qualcosa che le è rimasto impresso di quei viaggi?

«Certamente il fatto che la riconoscessero ovunque. La sua fama era assoluta, negli Usa ad esempio godeva di una popolarità pazzesca, ma anche in Europa. Lei amava molto essere riconosciuta».

Una fama legata soprattutto ai personaggi indimenticabili di Gelsomina e Cabiria. Ma ebbe anche una carriera meno nota da attrice in autonomia da Fellini, con il quale dopo “Giulietta degli Spiriti” (1965) tornò a lavorare solo in “Ginger e Fred” (1985). Dove le riuscì di affermarsi?

«Gli sceneggiati televisivi ebbero un ottimo successo. Negli anni Settanta fu protagonista di tre sceneggiati, “Eleonora” di Silverio Blasi, “Camilla” di Sandro Bolchi e “Sogni e bisogni” di Sergio Citti. Aveva anche dei sogni nel cassetto, intorno a personaggi che non riuscì però a realizzare».

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